Alcune università degli Stati Uniti hanno deciso di acquisire i diritti per alcuni indirizzi con suffisso “.xxx”, ovvero siti dai contenuti pornografici. Quella che potrebbe apparire una scelta bizzarra, cela invece una strategia per la sicurezza. L’obiettivo degli atenei americani è quello infatti di evitare che dei distributori di siti hard si approprino di indirizzi istituzionali, compiendo questa misura preventiva che li mette al riparo da un utilizzo indesiderato del proprio nome.
Tutto è partito da una offerta da parte della Icm Registry, una società che gestisce i domini “.xxx”. Essa consisteva nella possibilità, per i titolari di un marchio registrato, di acquisire gli indirizzi pagando 200 dollari allo scopo di mettere il proprio nome in sicurezza. Il primo ateneo che ha deciso di sfruttare tale opportunità è stata la University of Kansas. Essa ha comprato diversi indirizzi, tra i quali anche “kansas.xxx”. Sono stati selezionati dai funzionari dell’università quelli che consideravano fosse più sensato proteggere. La strada percorsa dall’ateneo del Kansas è presto stata percorsa da altre università. Anche grandi aziende del calibro di Google, Marvel e Disney hanno deciso di ricorrere all’acquisto di alcuni indirizzi.
I domini “.xxx” sono stati introdotti dalla Icann (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers), l’organizzazione non profit che gestisce gli indirizzi Internet. Lo scopo di questo nuovo dominio sarebbe quello di fornire un segnale all’utente sul tipo di contenuti del sito, evitando di imbattersi accidentalmente in materiale pornografico. In questo modo gli indirizzi a luci rosse sarebbero facilmente riconoscibili ed potrebbero essere agevolmente bloccati dai genitori, migliorando anche la sicurezza del web. Le registrazioni sono iniziate lo scorso 6 dicembre.
L’utilizzo del suffisso “.xxx” non è obbligatorio, ma è una opzione ulteriore creata per catalogare più facilmente i contenuti online. Tuttavia non viene vista di buon occhio né da esponenti religiosi che temono una proliferazione della pornografia sul web, né dagli stessi siti a luci rosse, che credono che la misura finisca col “ghettizzarli”, riducendo il numero dei contatti.