Misurare la qualità della ricerca italiana, per avviare “dall’esterno” un dibattito sul sistema universitario italiano che abbia come cardini il merito e la produttività scientifica. Sono queste le finalità di Via Academy, una associazione-network che raccoglie studiosi e professionisti italiani in tutta Europa, anche se è storicamente nata fra gli accademici delle università di Manchester. Come Mauro Degli Esposti, biologo di stanza alla Victoria University della città inglese, nonché fondatore e anima di Via, che ha l’ambizione di affermarsi come osservatorio autorevole consegnandoci alcuni dati interessanti (e spesso in controtendenza) rispetto allo stato della ricerca in Italia.
Il ranking degli studiosi italiani al “top” delle scale di merito e la sua densità ad esempio, sono in grado di dire molto rispetto alla qualità scientifica di una università, come fa notare l’ultimo post di Via intitolato “Benvenuti al Sud”. Chi direbbe infatti che Catanzaro, piccola università della Calabria, possa piazzarsi ai primi posti? Su queste e altre questioni legate al panorama accademico made in Italy, ci risponde direttamente Mauro Degli Esposti.
Ricercatori, “Benvenuti al Sud” dunque?
L’ispirazione del titolo viene dall’omonimo film, che abbiamo visto di recente: rimarca i pregiudizi che spesso si hanno su quello che si fa al Sud, e vale pure per la ricerca. Quanti sapevano dell’eccellenza di Catanzaro?
Tuttavia, guardando il ranking Tis (Top italian scientists) relativo al Sud Italia, emerge che sono poco più di 100 i Tis in forze alle università del meridione contro gli oltre 1.000 cervelli che lavorano complessivamente in Italia. Come legge questo divario?
Il divario è solo apparente. Molte delle eccellenze che lavorano al Nord sono nate al Sud (fra le ‘rising stars’ della biomedicina, nomino Maria Rescigno) o vengono da famiglie del Sud. Inoltre, varie eccellenze italiane ora all’estero vengono dal Sud, come ad esempio Ferrara (no. 2, da Catania) ed Appella (dalla Basilicata).
Quanto questa densità di Top scientists è rappresentativa della complessiva bontà di un ateneo?
Quando i dati sono esaustivi, danno un’ottima stima della qualità media di un istituto. Infatti ai primi 3 posti abbiamo le scuole superiori della Normale, Sissa e Sant’Anna, universalmente riconosciute essere d’eccellenza.
Dal report risulta anche che quasi un terzo delle migliori “teste” italiane è “in fuga”. Dobbiamo rallegrarci per le 1.000 che restano oppure il dato rimane preoccupante?
Il dato rimane certamente preoccupante perché non è compensato dalla presenza di top scientists stranieri in Italia. Sinora ne abbiamo trovato meno di 10 che potrebbero entrare nella lista Tis, e due sono all’Università della Calabria, che quindi dalla classifica Tis viene ad essere sottostimata nel suo valore internazionale.
Dalla ricerca alla didattica. Il rapporto Cnvsu sullo stato del sistema universitario mostra matricole in calo, prof più vecchi, gli studenti più bravi in fuga verso le università private. L’istantanea corrisponde all’università italiana vista dall’estero?
Più che un’istantanea, direi un vecchio film. Si cominciano a pagare in modo evidente le scelte sbagliate degli ultimi 20 anni.
La riforma Gelmini potrà incidere in qualche modo su questo scenario?
Il sistema complesso e sclerotico dell’università avrebbe bisogno di un rinnovamento basato su normative incisive e semplici, al passo con le regole internazionali. Mi sembra che la riforma Gelmini globalmente aggiunga strati di complessità, più che semplificazioni in questa direzione. Però sta già facendo avere i suoi effetti positivi riguardo soprattutto al merito, cui sinora il sistema era rimasto refrattario. Vedo infatti molte università che si stanno preparando alla riforma innescando processi virtuosi di auto-valutazione.
Anche il governo inglese, a quanto sembra, sta abbattendo la sua scure sul sistema dell’istruzione: Willetts come Gelmini?
Solo in apparenza – nel senso di brandire la scure. Questo governo inglese ha anche salvaguardato i fondi per la ricerca scientifica, che sono molto più ingenti che in Italia. E poi i grossi finanziamenti che il governo laburista ha fatto nell’ultimo decennio hanno arricchito le università di ‘core facilities’ (laboratori, strumentazione e simili, ndr) impressionanti, che macineranno buona ricerca anche in presenza di tagli. In Italia ho visto ben pochi finanziamenti alle strutture universitarie. Le faccio un esempio: ci sono più potenti microscopi a fluorescenza nell’edificio in cui lavoro (parte della facoltà di scienze biologiche della Victoria University di Manchester) che in tutta Roma. Un’osservazione che ho fatto anche in un’audizione alla Camera sul ddl di riforma.
A proposito di “sprechi” da tagliare, nel dibattito italiano i piccoli atenei decentrati sovente negli ultimi tempi sono stati bollati come “inutili”. I dati del report Tis, almeno guardando al Sud, dicono qualcosa di diverso. Piccolo è bello, dunque?
Non ho seguito questo dibattito e francamente trovo irritante sentir parlare di ‘sprechi’ in una nazione come l’Italia, che spende molto meno delle altre grandi dell’Ocse per la ricerca e l’istruzione superiore. Comunque, piccoli atenei decentrati possono diventare centri di eccellenza anche a livello internazionale se gestiti bene e con lungimiranza: l’esempio di Catanzaro mi sembra eclatante.
Si è molto parlato dei tagli e della riforma, ma da pochissimi giorni è in vigore la nuova legge (l’ennesima) per il rientro dei cervelli. Bastano gli incentivi?
Ma sono incentivi senza finanziamenti, a quanto mi risulta. Sa cosa ci vorrebbe invece, e si può facilmente fare a livello regionale? Che una o due università, e proprio al Sud come Catanzaro, decidano strategicamente di diventare un polo di attrazione per eccellenze italiane all’estero, che sarebbero felici di rientrare nel loro Paese e lavorare bene in mezzo ad altri come loro. Un’università che facesse quest’investimento forte diventerebbe subito una delle migliori d’Italia e ridurrebbe veramente l’emorragia dei giovani cervelli che son fuggiti e stanno andando via. In più, ne formerebbe di nuovi che arricchirebbero l’Italia.