Il fenomeno non è nuovo, ma preoccupa il suo intensificarsi di anno in anno. È la vera e propria fuga dal Sud dei giovani, non solo per motivi di lavoro, ma anche per studiare. Così, le università meridionali perdono sempre più iscritti, mentre chi può permetterselo fa le valigie alla volta degli atenei pubblici e privati del Nord.
Le percentuali di questa fuga dal Sud in alcune regioni sono davvero importanti: in Sicilia, ad esempio, il 30 per cento degli studenti universitari residenti in realtà si trova lontano da casa, a studiare da fuori sede al Nord. E al Politecnico di Torino su 10mila nuove matricole il 60 per cento proviene da Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna. Gli ultimi dati dell’anagrafe degli studenti del MIUR confermano: rispetto a 10 anni fa le università del Sud hanno perso 45mila iscritti, col calo più marcato che ha interessato proprio la Sicilia, che nel solo periodo 2008-2012 ha segnato un -19,7 per cento.
A spiegare il fenomeno sono una serie di fattori, interdipendenti gli uni dagli altri. Alla base della fuga dal Sud c’è sicuramente la difficoltà che i giovani meridionali incontrano nel trovare lavoro, a causa della minor presenza sul territorio di aziende, che li spinge a cercare fortuna nelle regione settentrionali. E in molti, piuttosto che aspettare di essersi laureati, decidono di partire in anticipo, andando a studiare direttamente al Nord.
Questo provoca una diminuzione degli iscritti nelle università meridionali, che si ripercuote sul numero dei laureati. E questo comporta una riduzione dei finanziamenti statali, che a sua volta implica una restrizione delle borse di studio e dei servizi. Il tutto, alla fine, impatta negativamente sulle performance degli atenei del Mezzogiorno nelle classifiche nazionali e internazionali, col risultato che ancora più studenti sono dissuasi dallo sceglierli. Insomma, la fuga dal Sud è figlia di un circolo vizioso non facile da spezzare.
Eppure, è necessario che si intervenga per interromperlo, pena la desertificazione anche culturale di territori che già soffrono sul piano industriale e che adesso iniziano a denunciare perfino un calo demografico, come ha mostrato l’ultimo rapporto Svimez.