Diciotto favorevoli e sei contrari: Questo l’esito della votazione con cui il cda dell’Università di Bologna ha approvato il nuovo statuto dopo un lungo iter disseminato di polemiche, voti sfavorevoli e un referendum che ha rimesso in discussione alcuni importanti principi contenuti della nuova “carta costituzionale” dell’Alma Mater Studiorum. Non a caso il voto finale ha confermato l’opposizione dei rappresentanti del personale tecnico amministrativo, Daniele Bigi (ricercatori) e Gianni Porzi (governo), contrari soprattutto perché lo statuto non prevede che il cda sia un organo elettivo.
Ma quali cambiamenti porta con sé il nuovo statuto? Innanzitutto il testo appena approvato dice addio alle facoltà e dà il benvenuto alle 11 scuole, strutture di coordinamento dei 33 dipartimenti, per la costituzione dei quali occorrerà un numero di professori e ricercatori non inferiore a 50. Tra le novità assolute lo statuto prevede anche la costituzione di un consiglio di campus in ciascuna delle sedi distaccate dell’Alma Mater (Cesena, Forlì, Ravenna e Rimini).
Soppressa, invece, la giunta e istituito il nuovo organo della Consulta del personale tecnico e amministrativo, che esprimerà pareri sulle risorse e sull’aggiornamento del personale non docente. Per assecondare le prescrizioni della nuova legge sull’università è stato snellito il senato accademico (che passa da 42 a 35 membri divenendo organo di indirizzo) e d’ora in poi sarà il cda il vero organo decisionale, responsabile dell’indirizzo strategico e della programmazione finanziaria e del personale. I membri passeranno da 25 a 11, con rispetto per le quote rosa. Il rettore, dal canto suo, rimarrà in carica per sei anni e il suo mandato non è rinnovabile.
Soddisfatto il rettore Ivano Dionigi (rimarrà in carica fino all’autunno 2015), il quale si difende dalle accuse delle parti sindacali ricordando che il testo approvato è frutto dell’intenso lavoro della commissione statuto che, nel corso di numerose riunioni, ha coinvolto tutta la comunità accademica. Ora manca l’ok definitivo del Miur, ma i sindacati evocano già un nuovo referendum definendo le scelte del rettore autoritarie e non condivise, oltre che rischiose in termini di qualità del lavoro, dei servizi, della ricerca e della didattica.