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L’appello degli scienziati per “liberare l’università” riapre il dibattito su tasse, prestiti e valore legale

da | Gen 2012 | News | 0 commenti

In contemporanea con gli interventi del governo sulle liberalizzazioni torna alla ribalta la questione del valore legale del titolo di studio. Un vasto gruppo di intellettuali e docenti, tra cui Francesco Giavazzi, Alberto Alesina, Margherita Hack, Mario Baldassari, Andrea e Pietro Ichino, ha lanciato un appello sul quotidiano il Riformista dal titolo “Vogliamo liberare l’università”. Il documento esordisce con una citazione di Luigi Einaudi contro il valore legale dei titoli di studio e poi passa a criticare un sistema “burocratico, inefficiente, che non premia gli studenti migliori” e quindi non è in grado di restituire competitività al Paese “in questo momento di grave crisi economica, con un debito pubblico non più sostenibile”.
I firmatari criticano la convinzione per cui solo un’università pubblica e con rette uguali per tutti possa garantire il diritto alla studio per i più bisognosi, mentre – spiegano – la triplice sfida è quella di abolire il valore legale della laurea, liberalizzare le rette e introdurre borse di studio e prestiti d’onore per i più capaci e meritevoli.
Solo così, secondo i sottoscrittori dell’appello, lo studente potrebbe scegliere l’università in cui studiare in base alla qualità dell’offerta e non per ottenere “il pezzo di carta” e questo metterebbe in competizione gli atenei in modo da migliorare la qualità complessiva del sistema. Aspra anche la critica all’attuale sistema di valutazione, basato sul maggior numero di promozioni, il tasso di completamento degli studi e l’assegnazione dei voti più alti, “che puntano su un minore impegno in cambio di una platea ampia di studenti che saranno alla fine dei laureati con delle conoscenze, ma senza aver imparato ad apprendere”.
All’appello replica tra gli altri la ricercatrice Francesca Coin, che dal suo blog su ilfattoquotidiano.it chiede a Margherita Hack di ritirare la firma all’appello motivando la sua contrarietà ai tre punti su cui si basa. Quanto all’abolizione del valore legale del titolo di studio, spiega Coin, la proposta rischia di far proliferare le “fabbriche di titoli” e di curricula contraffatti. Il pensiero va subito alle università telematiche, proliferate molto più che nel resto d’Europa mentre “gli ordinari di tutte le 11 università telematiche italiane sono 13, gli associati 18 e i ricercatori 236”.
Ma il vero problema, spiega Francesca Coin, è che la competizione tra le università creerà, come già avviene altrove, una ristretta cerchia di atenei eccellenti e difficilmente accessibili se non indebitandosi accanto a una pletora di università poco qualificate e sempre più prive di mezzi di sostentamento.
La ricercatrice precaria spiega che le tasse sono già spesso oltre i limiti di legge e oltre il livello di quelle di altri Paesi europei e indica come prioritaria l’assegnazione di fondi per il diritto allo studio per eliminare l’anomalia “tutta italiana” degli studenti idonei ma non assegnatari, come avviene in questi giorni in Piemonte. Francesca Coen termina rinnovando l’appello alla professoressa Hack a ritirare la firma e chiedendo agli scienziati di farsi “portavoce di un sapere libero, più che di un mercato libero”.

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