Da Trieste alla volta di Roma, per gridare indignazione e per chiedere un cambio di regole e direzione. Come da tantissime altre città d’Italia, anche dal capoluogo giuliano sono tanti i giovani indignati approdati nella Capitale. Tra di loro c’è anche Luca Tornatore, ricercatore precario (un brillante astrofisico), ma anche uno che l’indignazione ce l’ha nel sangue da anni: da sempre è attivo nei movimenti sociali e nelle lotte sui temi dell’ecologia e della democrazia, aderisce alla rete Unicommons e oggi ci racconta perché è Roma, da italiano e da ricercatore indignato, insieme a tantissimi ragazzi.
In quanti da Trieste? Hai notizie dalle altre città della Penisola?
Da Trieste siamo partiti con tre pullman completamente autofinanziati, tantissimi ragazzi giovani che hanno risparmiato per potersi pagare il biglietto. Ma da tutta Italia saremo tantissimi, non riesco a quantificare, ma credo non meno di mezzo milione di persone. Solo la questura prevede oltre 200.000 persone. Ma in tutto il mondo sono previste manifestazioni in oltre 700 città. Si tratta davvero della prima vera manifestazione globale dai tempi di quella del 2003 contro la guerra.
Una indignazione con radici globali?
Sì, si protesta in oltre 40 Paesi per gli stessi motivi che hanno definito bene i ragazzi negli Stati Uniti: noi siamo il 99 per cento ed è l’1 per cento a comandare. Lo fa con una violenza incredibile, nella vita quotidiana, togliendoci certezze, autonomia, capacità di contrattazione. Oggi la tua vita è un puzzle e ogni pezzo appartiene a un padrone feudale, cui dobbiamo pagare un pedaggio anche solo per il fatto di essere vivi. I beni comuni, pensiamo all’acqua o al clima, sono stati affidati al mercato che è l’1 per cento. Con violenza, perché non sappiamo quali siano i luoghi in cui queste decisioni vengono prese! In Italia non possiamo nemmeno votare, possiamo “asserire” liste stilate altrove, grazie a questa legge elettorale.
Tu sei anche un ricercatore indignato, come si declinano queste istanze nel settore della università e della conoscenza?
Tutto questo chiaramente passa per la possibilità della conoscenza, intesa come approccio personale e autonomo che richiede tempo, e quindi reddito. L’Università invece, in Italia e non solo, è diventata un percorso di addestramento e di “privazione”, secondo una precisa decostruzione della filiera del sapere che invece deve essere il vero “empowerment” della democrazia. Agli studenti devono essere offerti contenuti, strumenti e tempo, anche attraverso l’accesso ad un reddito. Invece spesso per mantenersi agli studi, fanno vite da cani, lavorando e studiando e tenendo in piedi – sottopagati – le economie di intere città, dalla ristorazione all’assistenza. E ora si dovranno pure indebitare: ma noi vogliamo un credito d’onore non un debito d’onore!
Infatti, a livello globale, si tratta anche di una indignazione generazionale.
Sì, perché noi giovani – per volontà e non solo per anagrafe – ci sentiamo diseredati del futuro. Di solito si riceve una eredità dal passato, invece ai giovani di oggi hanno portato via anche il futuro. Da quarant’anni la gente sta lì a guardare lo sfacelo senza fare nulla, rispettando quelle stesse regole che impediscono il reale esercizio della democrazia. Spezzare le regole con intelligenza, per creare spazi di discussione e democrazia è l’unica strada da percorrere.
“Spezzare le regole con intelligenza”, dici, non con la violenza. Ma Roma nel frattempo è blindata. Scontri in vista?
Ci sarà una folla oceanica e quando c’è così tanta gente può succedere qualsiasi cosa: niente però sarà la cifra di tutto. Il percorso è stato studiato per evitare che accadano incidenti, ma quando la gente è arrabbiata può bastare una scintilla. D’altra parte anche in Cile, gli studenti usano tutti gli strumenti: dialogano con il presidente della Repubblica ma lottano anche nelle strade. Lo scontro da solo non risolve nulla per questo è da evitare, ma nemmeno si può chiedere alla gente arrabbiata di usare solo gli strumenti che non danno fastidio a nessuno.