Sono per la gran parte italiani i laboratori che hanno scoperto la sequenza completa del genoma del pesco, tramite uno studio avviato all’interno del progetto Drupomics finanziato dal Ministero delle Politiche agricole. Grazie a questa ricerca – pubblicata sulla prestigiosa rivista Nature Genetics – adesso sarà possibile coltivare piante più resistenti, avere frutti migliori, fronteggiare meglio le malattie e gli sbalzi climatici. Insomma, numerosi sembrano essere gli sviluppi futuri.
Già nel 2010 si arrivò a una prima bozza di sequenza del genoma del pesco, ma solo ora il lavoro si può ritenere completo, con l’identificazione di 230 milioni di basi disposte su otto cromosomi e un’accuratezza che supera il 99,9 per cento. A condurre la ricerca sono stati, per la precisione, alcuni esponenti del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura – Centro di ricerca per la frutticoltura di Roma, l’Istituto di genomica applicata e dell’Università di Udine, del Parco tecnologico padano di Lodi, della Clemson University e del DOE Joint Genome Institute in California.
Nel dettaglio, lo studio del genoma completo del pesco ha portato all’identificazione di 27.852 geni, un numero assai simile a quello ritrovato nella specie umana. Tra questi, 672 geni riguardano non solo i caratteri di qualità come il contenuto zuccherino, l’aroma o la maturazione, ma sono correlati anche alla forma della pianta e del frutto. A tal proposito, si ricordi che la famiglia delle rosacee – cui appartiene il pesco, come pure il melo, la fragola e il pero – ne presenta diverse. Per fare solo un esempio, basti pensare agli acheni delle fragole o ai pomi del melo.
“La disponibilità della sequenza genomica della specie – afferma Ignazio Verde, ricercatore del CRA e primo firmatario del lavoro – rappresenta una pietra miliare per gli studi di genetica applicata”. Adesso, si potranno ottenere – aggiunge lo studioso – “varietà migliorate nelle loro caratteristiche qualitative, con proprietà benefiche alla salute dell’uomo, per la loro adattabilità ai cambiamenti climatici e per la resistenza ai principali parassiti della specie con costi ridotti e in tempi più brevi”. Si tratta di una ricerca rilevante per l’Italia, in quanto secondo produttore al mondo di pesche dopo la Cina.