Venerdì scorso migliaia di ricercatori in tutta Italia hanno raccontato agli italiani la loro missione, raccontando quanto, nonostante il periodo difficile, la ricerca in Italia sia vitale e capace di grandi scoperte. Ma la Notte dei ricercatori è stata anche l’occasione per sottolineare i problemi che vivono la ricerca e il sistema accademico italiani.
Circa un mese fa un gruppo di ricercatori della Rete29aprile ha inviato una lettera al ministro Gelmini per rivendicare i propri diritti e chiedere un confronto per migliorare le condizioni e la qualità dei risultati del sistema accademico nel suo complesso. “Ma ad oggi tutto tace: dal ministro Gelmini nessuna risposta”, dice a Universita.it Massimiliano Tabusi, portavoce nazionale della Rete29aprile.
Tabusi, da cosa scaturisce la vostra lettera di protesta?
In base alla legge Gelmini i ricercatori che tengono delle lezioni devono essere retribuiti, che è certamente un concetto corretto. Peccato che lo stesso ministero non abbia aumentato le risorse dell’università, anzi, le ha tagliate. Perciò se i soldi per pagare le lezioni ai ricercatori mancavano in passato, tanto più non ci sono adesso. Questo è un controsenso che genera conflitto.
Che tipo di conflitto?
Alcune università che hanno più soldi possono permettersi di pagare i ricercatori per il loro impegno. È il caso di Bologna, dove il rettore ha stanziato fondi per pagarli e ha deciso un compenso equo. In altri atenei danno cifre ridicole, tipo 300 euro lordi per 60 ore di lezione. In altri, come a Catania, dove i ricercatori hanno aperto una vertenza contro il rettore, non pagano proprio. Peggio, ora gli atenei stanno pensando di inserire negli statuti una clausola per la quale, invece di pagare le lezioni ai ricercatori, li possono “ripagare” esentandoli da loro doveri.
Perché i ricercatori continuano a tenere corsi?
È recentemente capitato che un rettore abbia messo un aut aut ai suoi ricercatori: “O fate lezione o non diventerete mai ordinari, nemmeno in caso ce ne sia l’opportunità”. Cosa dovremmo fare davanti a tali prospettive? E pensare che senza noi ricercatori si fermerebbe il 40 per cento dei corsi, che noi copriamo su base volontaria.
Perché nel nostro sistema sono i ricercatori a dover insegnare e non i professori?
La riduzione delle risorse ha comportato la riduzione dei concorsi quindi con sempre meno professori, associati o ordinari, i ricercatori hanno supplito a questa carenza.
Che cosa propone la Rete29aprile?
Garantire maggiori finanziamenti al sistema universitario. E ridurre il problema del localismo. Bisognerebbe che tutti capissero che l’università e la ricerca generano innovazione e che l’innovazione è quella che fa stare bene un Paese e porta ricchezza. Tutto questo è degradante per l’intero sistema e la Rete29aprile vuole che venga recuperata la dignità del sistema intero, non solo dei ricercatori.
Nella lettera parlavate anche di stipendi molto bassi e mancanza di possibilità di evoluzione…
Non stiamo chiedendo l’aumento degli stipendi. Un anno fa Tremonti ha congelato gli scatti stipendiali che vanno di pari passo con l’inflazione. Un ricercatore appena assunto a tempo indeterminato guadagna per un anno circa 1.300 euro, dopo un anno si sale a 1.700 e nel tempo lo stipendio aumenta a scatti, avendoli bloccati ci sono migliaia di ricercatori con famiglia e mutuo con lo stipendio bloccato a 1.300 euro. Questo genera un perdita enorme soprattutto perché, anche se si trattasse veramente di una situazione temporanea, dopo i quattro anni pattuiti non si recuperano gli scatti stipendiali persi, dunque si comincia comunque da 1.300 euro, avendo “perso” quattro anni.
Cosa chiedete allora?
Chiediamo di eliminare il blocco degli scatti. Questo è un sistema che disincentiva i giovani bravi a fare ricerca in Italia, considerando che all’estero si guadagna come minimo il doppio. E chiediamo di chiarire e regolamentare il discorso dei pagamenti delle ore di lezione.
Quali reazioni ha suscitato la vostra lettera?
Il ministro non si è mai degnato nemmeno di rispondere. Il presidente Napolitano ci ha ricevuto ma ciò non ha cambiato la situazione. Ma chi ci ha penalizzato al massimo sono stati gli stessi rettori: loro non sono interessati a risolvere la situazione perché, avendo pochi fondi, doverci pagare sarebbe una spesa in più. Perciò non ci hanno mai appoggiati.