Il numero dei laureati di colore è più che quadruplicato negli ultimi 20 anni nelle università del Sudafrica. Anche se permane uno squilibrio tra i laureati bianchi e quelli di colore, rispetto alla popolazione complessiva possiamo dire che è un cambiamento davvero epocale quello che ci mostra la recente indagine sulle università pubbliche della Paese condotta dal South African Institute for Race Relations, a 20 anni dalla fine dell’apartheid.
Se l’aumento dei laureati è un dato di fatto per tutte le “comunità etniche”, il numero di “africani” (l’indagine identifica con questo termine le persone di colore non meticce) che hanno conseguito il titolo magistrale è balzato da 8.514 nel 1991 a 36.970 nel 2008, con un aumento del 334 per cento. Nello stesso periodo i laureati “di colore” (locuzione con cui si indica la popolazione “meticcia”) sono passati da 2.347 a 5.286, quelli indiani da 2.333 a 6.857.
I laureati bianchi sono aumentati in misura minore, ovvero del 14 per cento, passando da 27.619 a 31.527. I numeri parlano dunque di uno storico sorpasso del numero dei laureati di colore su quelli bianchi, ma il dato potrebbe non essere così eclatante se pensiamo che la popolazione bianca rappresenta solo il 13 per cento degli abitanti della Repubblica Sudafricana.
Per capire questi dati occorre fare un passo indietro. Gli studenti neri furono banditi dalle università consolidate del Paese nel 1959, cui potevano accedere solo con uno speciale permesso del Mmnistero dell’Istruzione. Per gli studenti “non bianchi” furono istituiti in seguito nuovi college e nuove università, bollate come “nere”.
Tuttora la ricerca mette in luce come due terzi dei laureati complessivi escano da soli 8 atenei, che sono ex università per bianchi, a conferma di come gli istituti storicamente considerati “minori” (quelli un tempo per soli neri) stiano ancora lottando per risollevare la propria immagine, che a livello di “curriculum” non rappresenta ancora buon biglietto da visita.