L’università pubblica italiana, nonostante il turbolento periodo che ha attraversato, sembra resista nel suo sistema, tanto da rilevare anche note positive che ristabiliscono fiducia e speranza per tutti gli utenti che si trovano quotidianamente ad interagire con l’ambiente universitario.
In generale l’università, soprattutto negli ultimi decenni, ha avuto uno sviluppo significativo con numeri che rendono l’idea di quanto il mondo universitario sia centrale per la crescita professionale individuale e quindi per l’inserimento nel lavoro, almeno dai dati che ci dice il professor Paolo Stefano Marcato (Vicepresidente dell’Unione Sindacale Professori Universitari di Ruolo) in un articolo dal titolo significativo: “Università pubblica da rivalutare”.
E così il numero di studenti universitari è aumentato di oltre il 70% nell’ultimo quarto di secolo e il tasso netto di accesso all’istruzione terziaria (56%) è superiore alla media OCSE (54%).
Un altro dato positivo è che dal 2000 ad oggi è cresciuto del 5% il numero delle matricole annuali, ovvero di tutti quegli studenti che annualmente, decidono di iscriversi all’università.
Il fenomeno dell’abbandono degli studi dopo il primo anno, che in periodi recenti sembrava preoccupare, è diminuito di quasi il 7%. Questo anche grazie alle facoltà a numero chiuso, che sono aumentate ed hanno garantito così studenti più regolari.
Altri dati riguardano i ricercatori. L’Italia è un paese in grado di “sfornare” un elevato numero di cervelli che si riversano nell’Unione Europea. Dagli anni 90 la quota di laureati
italiani residenti fuori dal territorio nazionale era più che doppia di quella degli altri Paesi dell’Unione Europea.
Nell’arco di 40 anni il numero di studenti che arriva al termine degli studi e dunque alla laurea è cresciuto dal 35% degli anni 70 a oltre il 70% degli anni recenti.