Part-time e università telematica. Sono queste le due soluzioni tra cui possono optare i fuoricorso della Sapienza per non pagare le tasse troppo elevate previste dal decreto sulla spending review. Scappatoie che il rettore dell’ateneo romano, Luigi Frati, propone per evitare che si abbandoni il percorso universitario: “Mi sono posto il problema dei tanti studenti indietro con gli studi e che si trovano dinanzi alla scelta di un aumento consistente delle tasse. Se – spiega Frati – carico, per esempio, trecento euro sui costi per i fuoricorso, quanti ragazzi lascio per la strada? Chi fa le leggi, in Parlamento, dovrebbe porsi anche questi problemi”.
Tra le due soluzioni, il part-time è quella che meglio si addice a chi ha un lavoro e non può dedicare molto tempo allo studio, ma è un’alternativa valida anche per chi è iscritto da troppi anni all’università. Si tratta però di una scelta irrevocabile, da cui non è più possibile tornare indietro. Tale formula di frequenza, prevista in numerosi atenei, comporta senz’altro un raddoppio dei tempi, ma prevede comunque l’obbligo di sostenere, anche se in numero ridotto, gli esami e conseguire i crediti previsti annualmente, che solitamente si aggirano tra i 20 e i 40 contro i 60 dei corsi normali.
Per aggirare l’aumento delle tasse previsto per i fuoricorso dal decreto sulla spending review, la Sapienza concede ai propri studenti anche l’opportunità dello studio a distanza tramite computer. In questo caso, la situazione cambia da ateneo ad ateneo. Per adesso, infatti, quello romano sembra essere l’unico a offrire entrambe le soluzioni, grazie alla sua università telematica, l’Unitelma Sapienza, nata dal consorzio con Formez PA: “È un corso molto serio, noi – dichiara Luigi Frati – non regaliamo lauree. Si tratta di esami veri sostenuti con docenti preparati e filtrati da noi. È un prodotto di qualità”.
I provvedimenti indicati dalla spending review in merito al rincaro delle tasse universitarie stanno sollevando negli ultimi giorni un grosso polverone. Ciò che sta facendo discutere è soprattutto il tentativo di risollevare le sorti dell’università “bastonando” in particolar modo i fuoricorso. Secondo quanto stabilito nel decreto, per i redditi sotto ai 90mila euro è previsto un aumento del 25 per cento, per quelli compresi tra i 90mila e i 150mila del 50 per cento e per quelli oltre i 150mila euro addirittura del 100 per cento. Gli unici a salvarsi sono gli studenti con un reddito fino ai 40mila euro e in regola con gli studi: per loro, dal 2013, l’incremento non potrà superare l’inflazione.
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La prima cosa che avrebbero dovuto fare e che avrebbero dovuto chiedere gli studenti è la soppressione di quel decreto regio del 1932 che prevede la decadenza degli esami dopo 8 anni che non si fanno esami. Una persona che ha superato un certo numero di esami è una cosa ignobile fargli decadere il lavoro fatto. Sono anni e sacrifici. Un esame una volta superato deve essere superato per sempre e sempre accettato in qualsiasi altra Università pubblica italiana. La laurea non decade dopo 8 anni, allora perché dovrebbero decadere gli esami? anche perché il piano di studi individuale rimane immutato e legato al singolo studente. Questo è un diritto che gli studenti devono chiedere a gran voce. A volte i problemi del non sostenere esami sono dovuti anche alle Università, quindi un mea culpa. Iniziassero a tutelare i loro diritti gli studenti prima di chiedere posti di lavoro nelle Università per gli altri.
Comunque non sono uno studente della Sapienza e chiedo scusa se ho scritto qui, sono uno studente del sud purtroppo, ma il discorso deve valere per tutte le Università quindi è rivolto a tutti i rettori e a tutti i politici.