Riscatto della laurea: è stata una mezza sommossa popolare quella che ha accolto il provvedimento che stralciava gli anni di contributi riscattati per il periodo universitario dal computo delle annualità necessarie al fine del pensionamento anticipato.
Una levata di scudi che ha spinto il governo al dietrofront nel giro di 48 ore e che ora motiva tantissimi giovani (e meno giovani) a presentare domanda o quanto meno a informarsi sulle modalità per versare i contributi relativi al periodo degli studi accademici.
Come funziona, dunque, il cosiddetto “riscatto della laurea”? Vista l’attualità del tema riportato alla ribalta delle cronache dall’altalena della manovra finanziaria, riassumiamo alcune linee guida per fare del tempo speso tra i banchi dell’università delle annualità utili anche ai fini pensionistici. Fondamentale è aver portato a termine il percorso di studi che si intende riscattare, opportunità concessa tanto per le lauree triennali, quanto per le magistrali, fino anche ai dottorati di ricerca. Attenzione, però, non si possono riscattare tutti gli anni, ma solo due su tre o quattro su cinque. Non valgono inoltre gli anni “fuori corso”, né quelli per il cui richiedente era già coperto da altra forma di contribuzione figurativa.
L’importo di contributi da versare è variabile, in base allo stipendio attuale del “riscattante” al momento della domanda. E per gli inoccupati? La legge dà la possibilità di “riscatto” anche ai laureati senza occupazione e non iscritti ad alcuna cassa contributiva: in questo caso l’entità del contributo è calcolata sulla base dell’imponibile annuo medio di artigiani e commercianti (14.300 euro) e fissato pertanto nel 2010 a 4.700 euro annui. Può accadere dunque che un disoccupato venga a pagare più di un laureato che lavora a 500 euro; si sale poi via via con gli stipendi più alti, fino a una contribuzione di 30.000 euro annui.
Conviene dunque guadagnare meno per pagare meno contributi? Non proprio. Perché per i ragazzi più giovani, che rientrano le cosiddetto sistema contributivo, la pensione verrà calcolata non sulla base dell’ultimo stipendio, ma sulla base dell’ammontare complessivo dei contributi versati nel corso della vita lavorativa. Riscattare la laurea pagando il minimo può servire dunque ad andare in pensione 2 o 3 anni prima, ma non a farvi avere un assegno più elevato.
È utile sapere inoltre che dal 2008 l’importo contributivo può essere detratto nella misura del 19 per cento dalla imposte che gravano sul reddito familiare e può essere pagato in 120 rate mensili, ovvero diluito in 10 anni. Per avere un quadro più dettagliato in merito al riscatto della laurea, è a disposizione inoltre la sezione “Istruzioni per l’uso” di Universita.it.
perche’ a me e’ stata respinta la richiesta di riscatto degli anni di istituto professionale frequentati con tanto di libretto di lavoro? la mia specializzazione e’ servita al datore di lavoro che mi ha assunto dopo la scuola.
visto che si pagano gli anni da riscattare perche’ io no e un laureato si?