Data la grave condizione in cui versano gli atenei italiani e la precaria situazione in cui si trovano i giovani ricercatori, alcuni di loro – di preciso 258 – hanno deciso di denunciare il proprio stato in una lettera aperta rivolta al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, “che ha sempre mostrato enorme sensibilità rispetto a questi temi”. Questo perché un Paese che non fa investimenti in cultura e ricerca è “destinato – scrivono i giovani studiosi – a subire profonde ferite in ambito sociale ed economico”.
“A scriverLe questa lettera è chi rappresenta, o meglio dovrebbe rappresentare il futuro dell’Università italiana”, scrivono i ricercatori precari nella lettera indirizzata a Napolitano. Anche se vengono definiti “giovani”, in realtà nella maggioro parte dei casi si tratta di soggetti già di trent’anni o addirittura sulla soglia dei quaranta, che da anni lavorano all’interno dell’ambiente universitario – contribuendo a portare avanti la ricerca e la didattica dei nostri atenei – ma di fatto “senza la possibilità di un serio percorso accademico, in uno stato non regolamentato di precarietà e subalternanza, in pratica in una condizione di lavoro e di vita senza prospettive“.
“La recente riforma universitaria ha eliminato la figura del ricercatore stabile e introdotto quella del ricercatore a tempo determinato, penalizzando in blocco una generazione di studiosi che viene confinata in uno stato di precariato troppo spesso senza alcuna prospettiva”, denunciano i ricercatori. Ciò è dimostrato dalla drastica riduzione delle assunzioni – che nei maggiori atenei italiani ha toccato perfino punte dell’80 per cento – verificatasi nel corso del triennio 2009/2012. Naturalmente ne è conseguito un impoverimento della qualità della didattica e della ricerca nelle università italiane, con una vera e propria “fuga di cervelli” all’estero.
Nella lettera rivola al presidente Napolitano i ricercatori non delineano affatto un quadro positivo della propria situazione da precari a vita, ma si mostrano fiduciosi in una buona azione del presidente, sicuri che “vorrà farsi garante, nei confronti di chi guiderà il Paese nell’immediato futuro, dell’istituzione universitaria italiana e del futuro di un’intera generazione di ricercatori”. D’altra parte, in questo momento l’Italia si trova, spiegano, “al 32mo posto tra i 37 paesi dell’area Ocse“, a causa proprio dello scarso investimento nel sistema universitario (1 per cento del Pil).