Indisponibili a svolgere le attività didattiche non obbligatorie per legge. Così, ieri centinaia di ricercatori italiani si sono dichiarati uniti e hanno adottato pubblicamente una linea dura contro la definitiva approvazione di una riforma, quella passata in Senato a luglio, che non tiene conto adeguatamente del loro valore – sociale, economico, culturale e giuridico – all’interno del sistema universitario italiano. Un’assemblea che ha riunito una rete vasta di ricercatori provenienti dalle università pubbliche di tutta Italia, quella svoltasi ieri alla Sapienza di Roma, nell’aula Ginestra dell’edificio di Chimica, e organizzata dalla Rete29aprile, l’associazione nazionale che sta coordinando le adesioni al blocco della didattica per protesta contro la riforma Gelmini e i tagli del governo.
Dopo l’ultimatum ai ricercatori di Bologna – rientrato poi con il retro-front del rettore dopo la polemica scoppiata sul caso – i ricercatori presenti ieri all’assemblea nazionale di Roma, la seconda dopo quella di Milano dello scorso 29 aprile, hanno voluto ribadire la loro indisponibilità a tenere lezioni, corsi ed esami. Tutte mansioni che non spettano loro per legge, eppure sulle quali si regge quasi la metà delle attività didattiche universitarie. Fin’ora superano le 10mila unità, le adesioni dei ricercatori allo sciopero bianco della didattica, tanto che molte facoltà stanno seriamente valutando l’ipotesi di rimandare di settimane l’inizio dei corsi
Nel documento finale emerso dall’assemblea – e votato praticamente all’unanimità, con pochissimi astenuti e contrari – le richieste principali dei ricercatori sono state: il blocco dell’iter parlamentare del ddl Gelmini che non ha subito modifiche significative in base alle richieste pervenute dal mondo della ricerca, il riconoscimento del ruolo giuridico dei ricercatori, l’assunzione di giovani docenti, la fine del precariato legalizzato all’università. E poi il “no” deciso alla privatizzazione di un’università che dev’essere per natura aperta, libera, pubblica, critica. Tra le proposte quella di istituire un ruolo unico di docente universitario, la riforma del sistema di reclutamento che renda accessibile la carriera universitaria, finanziamenti adeguati a ricerca e didattica e poi politiche per il diritto allo studio e la mobilità studentesca che siano a carico del welfare statale e non dei singoli atenei.
E poi ancora, per il 4-5 e 6 ottobre sono state fissate le date delle prossime mobilitazioni dentro e fuori dagli atenei per discutere sulle pratiche concrete da adottare. Il 15 ci sarà invece un presidio a Montecitorio in concomitanza con la discussione del ddl alla Camera.
Una linea dura, insomma, quella comunicata dai ricercatori presenti ieri all’assemblea nazionale di Roma, che non si sono limitati a denunciare e proporre, ma hanno delineato anche conseguenze concrete qualora il ddl dovesse continuare l’iter parlamentare senza tener conto delle modifiche che sono state proposte: il blocco dell’anno accademico in tutta Italia. Anche perché senza ricercatori, almeno per ora, le lezioni non partono.