Secondo il primo rapporto sullo stato dello Spazio europeo della ricerca (SER) da poco presentato dalla Commissione Europea, nel Vecchio continente si registra un cospicuo calo dei fondi pubblici e i ricercatori sembrano incontrare non poche difficoltà nell’inserirsi nel mondo del lavoro. In particolare, i Paesi membri dell’UE più colpiti dalla crisi economica – tra cui l’Italia – starebbero ancora scontando forti ritardi nel settore della ricerca e dello sviluppo proprio a causa della riduzione degli investimenti.
Ideato con l’intento di garantire ai ricercatori, agli enti e alle imprese più mobilità, competenza e cooperazione fuori dai confini nazionali, il SER non rappresenta altro che il “mercato unico” della ricerca. Nonostante gli Strati membri si siano impegnati a realizzarlo entro il 2014, secondo il rapporto della Commissione Europea la strada da percorrere è ancora lunga. Tra le cause di questo ritardo ci sono, per l’appunto, il calo dei fondi pubblici e il numero limitato di ricercatori occupati nell’industria o la difficoltà a eliminare le disuguaglianze di genere.
In particolare, il rapporto sullo stato dello Spazio europeo della ricerca 2013 sottolinea come il punto più debole del sistema, il fatto che la spesa pubblica destinata a ricerca e sviluppo sia scesa tanto da arrivare a rappresentare appena l’1,47 per cento del PIL dell’UE. E, quel che è peggio, nel quinquennio 2007-2011 (l’ultimo preso in analisi), questo calo dei fondi – in particolar modo in Italia, Spagna e Irlanda – è stato frutto di scelte precise dei governi, più che della contingenza, visto che si è manifestato in concomitanza a un aumento delle uscite pubbliche complessive.
Un altro punto debole del sistema segnalato dal rapporto sullo stato dello Spazio europeo della ricerca 2013 è, in particolare in Italia, quello dell’inserimento lavorativo dei giovani scienziati. A rendere la nostra situazione ancora più precaria e difficile – come emerge dall’ultimo Researches’s Report – è il fatto che la media italiana di ricercatori occupati full time è pari a 4,1 su 100, mentre quella europea è uguale a 6,6. In sostanza, ci troviamo perfino sotto al 5,3 fatto registrare dal totale delle economie appartenenti al gruppo degli “innovatori moderati”. E per le donne la situazione sembra andare ancora peggio, anche per l’assenza nel nostro Stato di una legge che tuteli la posizione delle ricercatrici.