McKinsey: "Occupazione bassa perché i giovani non hanno competenze"
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McKinsey: “Il 47 per cento degli imprenditori non trova nei giovani italiani le competenze che vorrebbe”

da | Gen 2014 | News | 0 commenti

La disoccupazione giovanile in Italia è a livelli record, attestandosi oltre il 40 per cento. Tutta colpa della crisi? Sembrerebbe di no. Stando al rapporto McKinsey “Il viaggio tempestoso dell’Europa, dall’educazione all’occupazione”, appena presentato a Bruxelles, il 47 per cento delle aziende italiane ha difficoltà nel trovare figure in possesso delle competenze ricercate. Non che i giovani siano incapaci: il problema è l’assenza di un punto di contatto tra domanda e offerta di lavoro. E se i datori di lavoro non trovano le skill che vorrebbero, chi le ha troppo spesso non sa come farsi scovare.

Un problema tutto italiano? Leggendo il rapporto McKinsey si scopre che non è così. Se gli imprenditori italiani non riescono a entrare in contatto con giovani in possesso delle competenze di cui hanno bisogno, le stesse difficoltà sono lamentate dai loro colleghi greci (45 per cento), spagnoli (33 per cento) e tedeschi (26 per cento). Ma in termini percentuali, l’Italia batte tutti gli altri 7 Paesi esaminati.

Le conseguenze di questo mancato incontro tra domanda e offerta di lavoro sono piuttosto gravi. In un’Europa col più alto tasso di disoccupazione del mondo, in Italia, Grecia, Portogallo e Regno Unito sempre più studenti scelgono corsi di studio legati a settori in cui la domanda è in calo. In sintesi, recita il rapporto McKinsey, “ci sono abbinamenti sbagliati: educatori e imprenditori non stanno comunicando fra loro”. E le cifre confermano: appena il 41 per cento dei datori di lavoro comunica con regolarità con i dirigenti scolastici e – quel che è peggio – soltanto il 21 per cento definisce “effettiva” questa comunicazione.

Quanto alle reali competenze, poi, solo il 42 per cento delle aziende le riscontra negli aspiranti lavoratori. E così solo 23 giovani italiani su 100 possono vantare una buona conoscenza dell’inglese, e solo 18 la padronanza degli strumenti informatici. Per non parlare della conoscenza pratica, difficile da pretendere da giovani alle prime esperienze lavorative. La conseguenza più evidente? Meno del 46 per cento degli studenti italiani vengono assunti dopo un periodo di stage, a fronte della media UE del 61 per cento. Con conseguenze per il tasso di occupazione giovanile che sono sotto gli occhi di tutti.

Il nodo – cruciale – del rapporto tra istruzione e mondo del lavoro, dunque, è tutto aperto. Ecco perché da Bruxelles giunge l’invito, per governo ed educatori, a fare qualcosa che faciliti l’inserimento dei giovani e aiuti ad accrescerne la percentuale di occupazione.

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