Italia ultima nella classifica contenuta nell’ultimo rapporto Eurostat sull’istruzione nell’Unione Europea. Lontana dalla media generale quanto ad abbandono scolastico, lontanissima quanto a percentuale di laureati, superata anche dalla Romania, che ci cede la maglia nera che deteneva nel 2010.
Ecco nel dettaglio i dati, non certo confortanti, del rapporto Eurostat sull’istruzione: nel nostro Paese nel 2012 il 17,6 per cento degli studenti ha abbandonato la scuola secondaria, percentuale che già sfora di molto la media europea, attestata sul 12,8 per cento (peggio di noi solo Spagna col 24,9 per cento, Malta col 22,6 e Portogallo col 20,8). E l’obiettivo dell’UE è scendere sotto il 10 per cento entro il 2020, mentre da noi si punta ad arrivare al 15-16 per cento.
E l’università? Lo scenario si fa ancora più grigio. La percentuale di laureati rispetto agli iscritti, infatti, è la più bassa di tutta Europa. Secondo il rapporto Eurostat, in Italia appena il 21,7 per cento – uno su cinque, quindi – completa il proprio corso di studi universitario (o equivalente) entro i 34 anni, con un forte divario tra uomini (17,2 per cento) e donne (26,3 per cento). Considerando i dati degli altri Stati membri dell’UE, poi, la situazione vira verso il nero: in Gran Bretagna a ottenere la laurea è il 47,1 per cento degli iscritti, in Francia il 43,6, in Spagna il 43,1, in Polonia il 39,1, in Germania il 31,9. In Irlanda addirittura il 51. E se l’obiettivo europeo per il 2020 è raggiungere una media del 40 per cento, quello italiano si ferma al 26-27.
C’è chi sceglie di guardare comunque il lato positivo: il Commissario europeo per l’Educazione e la Cultura, la greca Androulla Vassiliou, sottolinea come la media generale UE degli abbandoni scolastici sia leggermente migliorata – dal 14 per cento del 2010 al 12,8 dello scorso anno – e così pure quella italiana, che è scesa dal 18,8 per cento al 17,6. “I lavori del futuro – ha detto da Bruxelles – richiederanno più qualificazione e questi dati mostrano che i giovani sono determinati a sfruttare tutto il loro potenziale”.
Ma in casa nostra non sono mancate voci più critiche. Giovanni Puglisi, rettore della IULM di Milano e vicepresidente della CRUI guarda ai dati dell’ultimo rapporto Eurostat sull’istruzione come alla “logica conseguenza di un disinvestimento del sistema dell’alta formazione, ma anche della cultura e della ricerca, nella pianificazione politica italiana: i nostri giovani migliori vanno all’estero e vi restano”. Massimo Di Menna, segretario generale IUL-Scuola, chiede un’assunzione di responsabilità politica, altrimenti “l’Italia rischia di uscire dall’Europa proprio dove abbiamo tutte le risorse per eccellere”, e Mimmo Pantaleo, segretario generale FLC-DGIL, avverte: “se non si investe in conoscenza non si uscirà dalla crisi”. Concorda Federconsumatori: “Investire sulla conoscenza e sulla valorizzazione delle competenze significa investire sul futuro del nostro Paese”.