Anche se spesso viene considerata solo una scusa accampata da studenti particolarmente svogliati, uno studio sembra confermare che i professori fanno preferenze tra allievo e allievo, facendosi influenzare da fattori che nulla hanno a che vedere con la preparazione nella valutazione di compiti in classe e interrogazioni.
La ricerca che conferma il sospetto di molti studenti ed ex-studenti è stata condotta dall’istituto di educazione dell’University College di Londra e pubblicata sulla rivista Journal of social policy. Esaminando un campione formato da più di 5mila studenti di sette anni, iscritti a scuole pubbliche inglesi, gli studiosi hanno confrontato i voti assegnati loro dagli insegnanti con i risultati ottenuti dai ragazzi in alcuni test standardizzati. Quello che è venuto fuori è che i professori fanno preferenze e che spesso si basano su stereotipi.
Tra gli stereotipi che maggiormente influenzano gli insegnanti ci sono quelli di genere e quelli relativi allo status economico e sociale. Per quanto riguarda la matematica, ad esempio, i professori fanno preferenze a danno delle ragazze, giudicate meno capaci dei maschi in questo campo, ma eccellenti in quanto ad abilità linguistico-letterarie, mentre i ragazzi in quest’ambito sono ritenuti inferiori.
Secondo lo studio, i professori fanno preferenze anche tra studenti ricchi e studenti che provengono da nuclei familiari meno abbienti o disagiati. Questi ultimi sono ritenuti inconsciamente meno validi dei primi, anche quando presentano lo stesso grado di preparazione. Pregiudizi analoghi esistono anche nei confronti degli studenti stranieri, le cui performances linguistiche sono sottovalutate dagli insegnanti e sottostimate perfino dai compagni.
A proposito della ricerca, Tammy Campbell, che ha condotto il progetto, ha tenuto comunque a precisare che se i professori fanno preferenze non vuol dire che non siano validi. Questi pregiudizi dipendono, infatti, dalla natura umana, perché “tendiamo tutti a usare gli stereotipi come delle scorciatoie mentali“. L’obiettivo dello studio britannico, allora, non è la denuncia di questo comportamento, quanto quello di “lanciare un monito agli insegnanti riguardo a questa tendenza dello spirito umano, così da aiutarli a cercare di comportarsi in modo più consapevole”.