Meglio laurearsi prima, anche se con un voto inferiore, rispetto a raggiungere il traguardo con il massimo punteggio, ma più in là con gli anni. Questo è, in sintesi, il pensiero del ministro del Lavoro Giuliano Poletti, che intervenendo alla convention di apertura di Job&Orienta, la fiera dedicata all’orientamento universitario e professionale che si svolge a Verona, ha detto: “Prendere 110 e lode a 28 anni non serve a un fico, è meglio prendere 97 a 21”.
Perché è meglio sbrigarsi piuttosto che puntare all’eccellenza? Il ministro Poletti non ha dubbi: perché “I nostri giovani arrivano al mercato del lavoro in gravissimo ritardo” e “si trovano a competere con ragazzi di altre nazioni che hanno sei anni meno di loro e fare la gara con chi ha sei anni di tempo in più diventa durissimo”.
Poletti ha sottolineato che i nostri ragazzi dovrebbero sganciarsi dalla cultura del buon voto, che fa perdere loro solo tempo prezioso, portandoli a concentrarsi su qualcosa che ritarda la loro immissione nel mercato del lavoro, rendendoli tutto sommato meno appetibili, nonostante il loro brillante curriculum studiorum.
La sortita del ministro non ha mancato di sollevare qualche nota polemica. Da un lato c’è chi ricorda a Poletti che nel nostro sistema dell’istruzione la laurea triennale, presa nei tempi minimi, arriva comunque a 22 anni e non a 21, salvo il caso di chi abbia anticipato l’iscrizione alla scuola elementare. Dall’altro ci sono quelli che sottolineano il fatto che la sua dichiarazione suoni come un invito alla mediocrità, a privilegiare “il pezzo di carta” rispetto alle competenze, e per di più non tenga conto del fatto che ci sono anche gli studenti lavoratori, i quali – per forza di cose – sono più lenti nel loro percorso.
E c’è anche chi critica il ministro perché non sarebbe titolato a esprimersi in merito, essendo solo un diplomato (perito agrario, per l’esattezza), mentre più di qualcuno ha accostato l’uscita del ministro del Lavoro a quella del viceministro del governo Monti Michel Martone, che nel 2012 definì “sfigati” coloro i quali a 28 anni non avevano ancora conseguito una laurea.