Lauree triennali professionalizzanti, scoppia la polemica
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Arrivano le lauree triennali professionalizzanti. E scattano le polemiche

da | Dic 2016 | News | 0 commenti

L’uscita di scena di Stefania Giannini dal governo è accompagnata da un colpo di scena. L’ultimo atto da ministro dell’Istruzione dell’ex rettore dell’Università per Stranieri di Perugia è stata la firma apposta sul decreto ministeriale n. 987/2016. Fin qui niente di strano, se non fosse che il d.m. relativo a “Autovalutazione, Valutazione, Accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio” istituisce le nuove lauree triennali professionalizzanti. Questi corsi di studio erano stati bocciati all’unanimità dal Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari (CNSU), eppure lo scorso 12 dicembre, mentre il nuovo governo era sul punto di giurare davanti al presidente della Repubblica, il ministro dimissionario ne ha autorizzato la nascita.

Immancabili, quindi, sono arrivate le polemiche. Le più critiche, chiaramente, sono le associazioni studentesche, che contestano non solo il fatto che non vi sia stato alcun confronto in merito, ma anche che le lauree triennali professionalizzanti siano un regalo fatto alle aziende e poco abbiano a che fare con ciò che dovrebbe essere la formazione accademica.

Ma cosa sono davvero queste lauree triennali professionalizzanti? Si tratta di percorsi di studio a numero chiuso, anzi blindato. Potrà iscriversi un massimo di 50 studenti per anno, che nell’intero triennio dovranno totalizzare tra i 50 e i 60 cfu di tirocinio aziendale presso imprese accreditate. In sostanza un terzo della formazione degli studenti avverrà sul campo.

Ed è proprio questo a scatenare le reazioni negative. In primo luogo perché è previsto che l’accreditamento di queste lauree triennali professionalizzanti a partire dal 2021 sia legato al livello occupazionale dei laureati a un anno dal titolo. Livello che dovrà essere superiore all’80 per cento. Il che significa, in sostanza, che coloro i quali completeranno tali percorsi dovranno necessariamente essere scoraggiati dal proseguire gli studi e incentivati a immettersi subito nel mercato del lavoro. Ma non solo. A causa di ciò “le università dovranno rendere quanto più specifica e quindi attrattiva possibile la formazione per quella azienda che prometterà posti di lavoro”, spiega il coordinatore di LINK Andrea Torti.

Insomma, i piani di studio delle lauree triennali professionalizzanti saranno ritagliati su misura per le aziende partner. Il problema è che, qualora i laureati non riuscissero a collocarsi presso di esse, il titolo conseguito diventerebbe poco spendibile. Sarebbero lauree di serie B.

Ad essere contestato è anche il fatto che con questa misura si “regalino” alle aziende dei lavoratori che per un anno potranno svolgere le più diverse funzioni “senza alcuna tutela e garanzia”, precisa Torti. Così come non convince la scelta di sottomettere la libertà di insegnamento che dovrebbe caratterizzare gli studi universitari alle esigenze delle aziende partner delle lauree triennali professionalizzanti e di valutare la qualità della formazione solo in termini di occupabilità.

Le associazioni studentesche fanno ora appello al nuovo ministro, Valeria Fedeli, chiedendo “di ritirare immediatamente il decreto e di aprire un tavolo di confronto serio, in cui vengano coinvolti gli studenti e le studentesse, che sono pienamente disponibili a discutere del rapporto tra mercato del lavoro ed università, ma non possono accettare che lo sfruttamento diventi formazione”. Resta, tuttavia, da vedere quanto durerà il governo Gentiloni e se avrà il tempo di affrontare anche questa questione.

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