Dal prossimo anno accademico, i corsi di laurea delle università italiane dovranno rispettare una serie di parametri se vorranno ottenere l’accreditamento ministeriale e, quindi, non chiudere i battenti. Ѐ quanto previsto da uno dei decreti attuativi della riforma Gelmini, firmato lo scorso fine gennaio dal ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Francesco Profumo. Tra questi criteri, c’è quello che impone a ogni corso un numero minimo di docenti di ruolo. Pena – per l’appunto – la chiusura dello stesso.
Negli ultimi cinque anni sono numerosi i corsi di laurea già soppressi: si è passati dai 5.519 del 2007 ai 4.324 del 2013, con un taglio del 20,63 per cento dell’offerta formativa complessiva del sistema universitario italiano. Adesso, con l’attuazione del nuovo decreto, si assisterà a un ulteriore taglio, che interesserà in primo luogo gli atenei telematici, che fino adesso hanno potuto moltiplicare il numero dei corsi puntando sull’impiego di pochi docenti di ruolo. Dopodiché, la “rivoluzione” investirà anche le università fisiche, imponendo nel giro di quattro anni a 40 atenei su 90 di snellire la propria offerta formativa.
Per i corsi che vorranno ripartire o nascere dal prossimo settembre, il numero minimo di docenti di ruolo è di tre per le lauree triennali e due per quelle magistrali, in poche parole uno per ogni anno. Poi la richiesta salirà, fino ad arrivare – dall’anno accademico 2016/2017 – a quattro professori all’anno. Per le università non statali e quelle on line ne sono previsti tre, anziché quattro. Ai percorsi formativi di scienze motorie e a quelli delle professioni sanitarie, invece, viene imposto un regime diverso. I primi effetti drastici, comunque, ricadranno soprattutto sugli atenei telematici, che negli ultimi anni sono sorti – sempre più numerosi – al fine di offrire una formazione “alternativa” rispetto a quella tradizionale.
Il requisito della docenza mira a ripulire l’offerta formativa del sistema universitario italiano da quei corsi di laurea che contano solo pochi iscritti, in modo da snellire i costi e affrontare meglio la crisi. In realtà, il nuovo sistema di accreditamento altro non è che l’erede dei “requisiti minimi” già elaborati anni fa dal Comitato nazionale di valutazione assieme al “pacchetto serietà” dell’allora ministro Fabio Mussi: tra il 2009 e il 2011, solo per fare un esempio, i percorsi formativi con soli venti iscritti sono diminuiti del 28,6 per cento e quelli con meno di cinque si sono ridotti a meno della metà.