Sono studenti e ricercatori, ma anche ordinari e associati; sono mille, ma promettono di diventare molti di più. In tanti hanno sottoscritto ad oggi un appello in difesa della università pubblica, scandendo un secco no rispetto a due temi caldi del dibattito politico e accademico: l’abolizione del valore legale della laurea e l’innalzamento delle tasse accademiche.
Due temi fortemente interconnessi l’uno all’altro, secondo i sottoscrittori dell’appello. Il fatto di assegnare valori diversi alle università migliori combinato a una liberalizzazione del sistema delle tasse universitarie spianerebbe la strada a una “suddivisione classista” del mondo accademico in università di serie A e università di serie B.
E se chi si fa promotore di un aumento delle tasse, evoca il magico strumento del “prestito” di studio come meccanismo correttivo di equità sociale, l’appello in oggetto ribatte nel merito: “Un individuo ‘povero’ indebitato, oggi studente domani (forse) lavoratore, non è uguale a (né libero quanto) un individuo ‘ricco’ senza debiti”. Si tratta di una “finzione, se non di un inganno”, insomma, proprio come nel caso dell’abolizione del valore legale del titolo di studio, argomento supportato anche da voci autorevoli e libere come quella di Margherita Hack, che nei giorni scorsi si è detta favorevole alla proposta.
Tuttavia, secondo i firmatari dell’appello, l’abolizione del titolo legale non avrebbe di certo il benefico effetto di innescare una sana concorrenza accademica tra atenei, come negli intenti dichiarati dai suoi sostenitori. E questo proprio a causa della situazione di attuale sottofinanziamento e disuguaglianza tra gli atenei. A spuntarla sarebbero con ogni probabilità i gruppi di potere accademici più strutturati, mentre gli atenei che ora si trovano in difficoltà sarebbero definitivamente affossati. E così “il valore legale – si legge nella petizione – tenderebbe semplicemente ad essere sostituito dal valore monetario necessario per conseguire il titolo di studio”. Senza contare che questa prospettiva tenderebbe in sostanza a negare l’obiettivo di uno standard qualitativo comune a tutte le università pubbliche.
Per questo la petizione (le adesioni sono ancora aperte), chiede “alla classe politica che si riconosce nella nostra Costituzione Repubblicana e al Governo di non accettare scorciatoie fuorvianti ai problemi del finanziamento e del rilancio del sistema educativo e universitario pubblico, così come di altri ambiti preziosi della produzione culturale del Paese”.
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