McKinsey: "In Italia gli stage non aiutano a trovare lavoro"
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Solo il 6 per cento di chance in più di essere assunti con gli stage: ecco perché non funzionano in Italia

da | Gen 2014 | News | 0 commenti

Non sempre uno stage nel curriculum facilita l’inserimento nel mondo del lavoro. Almeno, questo è quanto accade in Italia, dove aver svolto un’esperienza formativa di questo tipo incrementa le chance di essere assunti solo del 6 per cento. Si tratta di meno della metà rispetto alla Spagna, dove le opportunità di assunzione si alzano del 14 per cento, e di un sesto esatto della percentuale registrata in Francia (36 per cento). Ci superano anche Grecia con il 15 per cento e Portogallo con il 21 per cento.

Questi i dati riportati nel rapporto McKinsey “Education to Employment” 2013, redatto sulla base di più di ottomila interviste tra giovani, datori di lavoro e istituzioni appartenenti ai Paesi Ue. Un’indagine che sottolinea la difficoltà per gli under 30 nostrani di trovare un’occupazione a causa di una serie di fattori, quali le poche esperienze di lavoro, il gap esistente tra quanto si apprende teoricamente e le competenze pratiche e, per finire, la qualità degli stage proposti, che non sempre riescono a fornire ai candidati le competenze poi richieste dal mercato del lavoro. Se, infatti, come sottolinea McKinsey, per il 72 per cento di istituti e università i propri diplomati risultano preparati, per il 58 per cento dei datori di lavoro è esattamente il contrario.

Ad aggravare la situazione, in Italia, contribuiscono anche la scarsa trasparenza nei criteri di selezione per accedere agli stage – quasi sempre sotto forma di formule generiche, come “esperienza su campo” o “attitudine a lavorare in team” – e retribuzioni sotto la media. Considerato tutto ciò, si ottiene così – stando al rapporto McKinsey – che meno di un giovane su due (il 46 per cento) riesce a formalizzare uno tirocinio, mentre nel resto dell’Unione Europea la media è del 61 per cento. E se poi lo stage va a buon fine, non sempre spiana la strada verso il lavoro, come invece accade in altri Paesi Ue.

È vero che in Inghilterra le cose vanno anche peggio, con una probabilità di inserimento nel mondo del lavoro grazie agli stage pari al 3 per cento, ma le opportunità professionali – diversamente da quanto accade in Italia – vengono segnalate con alert personalizzati sui siti delle facoltà. Poi c’è la Germania, che come noi non si spinge oltre al 6 per cento, ma pure in questo caso la situazione è piuttosto diversa da quella che del nostro Paese, perché per i laureati teutonici, lo scarso vantaggio garantito dai tirocini viene poi bilanciato dalle opportunità che scaturiscono da una maggiore fiducia nel valore del titolo di laurea.

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