Il tam tam sui social network e fuori dalla Rete è incessante. E le adesioni seguitano ad arrivare, anche con il sostegno di nomi e volti noti. Per il 9 aprile si sono mobilitati studenti, ricercatori, lavoratori precari e disoccupati: scenderanno in piazza per denunciare i guasti della precarietà diffusa, il rischio che questa generazione di mezzo rappresenti l’inizio della parabola discendente per le sorti dell’intero Paese.
Anche l’Adi, l’associazione che riunisce dottorandi e dottori di ricerca a livello nazionale, si è unita alla mobilitazione abbracciando idealmente lo slogan “Il nostro tempo è adesso. La vita non aspetta”. Sabato 9 aprile a Roma sfileranno dunque anche i precari dell’università “stanchi di essere sotto ricatto” e di non poterlo neanche denunciare.
La partecipazione dell’Adi è l’ennesimo capitolo di un impegno che da anni vede i dottorandi e dottori di ricerca impegnati ad aumentare entità e quantità delle borse di dottorato e a denunciare i rischi legati alla riforma dell’università approvata a fine 2010 dal Parlamento. Proprio rispetto a quest’ultima, l’associazione di categoria lamenta come, dietro al paravento della razionalizzazione e della valorizzazione del merito, si nascondano intenti più o meno espliciti di precarizzazione, senza si sia messo mano alla riduzione e riorganizzazione della selva di figure contrattuali presenti negli atenei italiani.
L’ultima battaglia in ordine di tempo riguarda poi il rischio di un ricorso diffuso all’attribuzione di dottorati senza borsa, grazie alla recente interpretazione data all’art. 19 della legge 240/2010, che “rimuove il vincolo previsto dalla legge 210/1998 in base al quale almeno la metà dei posti di dottorato deve essere bandita con borsa”. Una ragione di più, spiegano dall’associazione, per essere in piazza a Roma il 9 aprile e sostenere il riscatto di un’intera generazione.