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Attenzione alla ranking-mania: ecco i limiti delle classifiche delle migliori università

da | Giu 2014 | News | 1 commento

Anche a proposito di università, corsi di laurea e master, gli ultimi anni hanno registrato una vera e propria ranking-mania. Classifiche di qua, classifiche di là, così tante da finire per confondere gli studenti alle prese con la scelta del proprio futuro accademico. Per districarsi, ecco quali sono i limiti – e quali le chiavi di interpretazione – delle classifiche delle migliori università.

Non è tutta meritocrazia quel che luccica. E così anche nelle classifiche delle migliori università una certa influenza ce l’ha la reputazione dei vari atenei. Che a sua volta brilla ancor di più – o tutto il contrario – grazie alle classifiche. Ovvero, quel che appare come il meglio non è sempre il miglior percorso di studi. Le ultime prove in questo senso? Da due fonti autorevoli, la classifica dei master in Finanza globale firmata Financial Times e quella delle università italiane del Sole 24 Ore.

Il Financial Times ramifica la sua classifica nei master rivolti a chi abbia esperienza lavorativa e in quelli pre-mondo del lavoro. Per i primi, il podio è composto da London Business School, Cambridge Judge Business School e University of Illinois at Urbana-Champaign. Per i secondi, da Hec di Parigi, Esade Business School (Spagna), e un’altra parigina, la Edhec.

I criteri di valutazione? Il salario di chi ha frequentato il master – compresa la variazione tra il prima e il dopo – e la carriera influenzano il 50-60 per cento del risultato finale. Mentre i criteri legati alla qualità dell’insegnamento sono pochi e meno importanti. Insomma, la classifica Financial Times sui master in Finanza globale indica quali sono quelli più prestigiosi per far carriera e guadagnare bene. Più status che qualità, dunque.

Nella classifica delle migliori università italiane redatta dal Sole 24 Ore, invece, i criteri per la valutazione sono più strettamente collegati alla qualità della didattica: dal numero dei docenti all’attività scientifica fino alla mobilità internazionale. Ma il raffronto è tra i diversi atenei – divisi in statali e non, e valutati per due classifiche parziali di didattica e ricerca – non tra i corsi di studio. Ovvero, questa classifica paga un po’ l’eterogeneità delle università valutate. Col risultato che, per le statali, atenei e politecnici sono raggruppati insieme, mentre per le private si arriva addirittura a confrontare il San Raffaele e l’Università di Scienze gastronomiche.

Che fare, allora? Non leggere più le classifiche delle università? Certamente no. Ma occorre essere consapevoli dei loro limiti, mantenere un occhio critico e non farsi prendere dalla ranking-mania.

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Cristina Buscaglia
Cristina Buscaglia
6 anni fa

Ho citato questo articolo e riportato il relativo link in un mio testo su LinkedIn Publishing riguardante le classifiche accademiche, on line all’URL https://www.linkedin.com/pulse/il-vostro-ateneo-funziona-bene-o-arranka-classifiche-di-buscaglia-1/ .