La scelta della facoltà giusta, lo studio, gli esami, la laurea. E poi, partire o restare? Ecco il bivio con cui sempre più neolaureati si trovano a dover fare i conti. Dopo la lettera di Pier Luigi Celli al figlio, si apre il dibattito pubblico soprattutto tra i diretti interessati, i giovani.
La querelle seguita alla lettera di Celli ha assunto la forma di un rimbalzare diffuso di interventi nella rete: dai quotidiani ai blog personali ai forum online. Solo sul sito di Repubblica, che ha diffuso la lettera ieri, ci sono stati più di duemila commenti.
Critiche e approvazioni per le parole piene di amarezza di Celli, e non solo da parte di giovani laureandi o laureati, ma anche da parte di genitori e nonni. Tra le accuse più aspre che i frequentatori del web hanno fatto all’autore della missiva, c’è sicuramente quella di ipocrisia. Vale a dire il fatto che a parlare così sia un esponente privilegiato del Paese: un Direttore Generale Luiss, ex-direttore Rai. Potrebbe dare una “spintarella” al figlio, scrivono in molti, e invece lo invita a lasciare il Paese inviando una lettera aperta a una delle più famose testate italiane.
Altri si dicono indignati per la rassegnazione che la lettera trasmette a un’intera generazione, quasi come se non ci fosse più nessuna speranza di cambiamento. Quasi come se l’unica cosa da fare per l’Italia fosse abbandonarla. Tra le risposte ci sono poi anche quelle di giovani già fuggiti all’estero e soddisfatti della scelta. Negli altri Paesi, dicono, c’è più libertà d’opinione, di veline e reality non importa a nessuno e si trova un lavoro più soddisfacente facendo meno gavetta e con meno frustrazioni. Ci sono tuttavia i nostalgici, che non rinuncerebbero mai al legame con la famiglia e con la cultura italiana, e quelli che invece scelgono di restare perché è da dentro che si possono cambiare le cose.
Tra i primi che hanno risposto allo sfogo del Direttore Generale Luiss, c’è anche il figlio di Celli, Mattia. Un ragazzo di ventitré anni giunto quasi al termine dei suoi studi in ingegneria meccanica, che non se la sente adesso di fare una scelta definitiva.
Insomma, la lettera di Celli più che il semplice consiglio di un genitore a un figlio voleva essere un messaggio politico a una generazione. E questo è chiaro. Solo che, considerando la mole di reazioni, invece di convincere tutti a rassegnarsi di fronte alla corruzione del Paese, è servita a quantomeno a rendere pubblico un dibattito in fermento che da troppo tempo restava relegato alle scelte di vita individuali e private.