Dura la vita per i laureati italiani. Non solo dopo anni di studio – e sacrifici, anche economici – si trovano di fronte a enormi difficoltà nel trovare lavoro, ma anche i pochi che riescono nell’impresa non guadagnano quanto dovrebbero. Il più recente allarme in merito arriva da Ignazio Visco, il numero uno della Banca d’Italia, che – anticipando alcuni dati di una ricerca dell’Istituto Centrale di Bankitalia – ha segnalato il fatto che i nostri laureati percepiscono il 15 per cento in meno rispetto ai loro colleghi europei, oltre a ritrovarsi spesso a svolgere mansioni lontane dalle loro competenze.
Che i guadagni dei laureati nostrani siano piuttosto magri era emerso nei giorni scorsi anche dall’ultimo rapporto AlmaLaurea sulla loro condizione occupazionale, in cui si segnalava come le retribuzioni, già basse, siano addirittura in costante discesa.
Il divario tra quanto guadagnano i giovani laureati in Italia e i loro colleghi degli altri maggiori Paesi d’Europa non è l’unico aspetto preoccupante evidenziato dal governatore Visco. In Italia la laurea ha anche un rendimento rispetto al diploma minore di quanto avvenga all’estero: aver completato un percorso di studi terziario garantisce una retribuzione solo del 30 per cento più alta rispetto a quella di chi si è fermato al diploma, a fronte del 45 per cento che si riscontra negli altri più importanti stati europei. E il dato peggiora se si considerano i giovani: i laureati italiani di età compresa tra i 25 e i 34 anni guadagnano soltanto l’11 per cento in più dei diplomati, contro il 35 per cento degli altri Paesi.
Perché i laureati italiani guadagnano meno dei loro colleghi europei? Secondo Visco i motivi sono da ricercare nella mancanza di investimenti in ricerca, sviluppo e innovazione delle nostre imprese, immerse in una crisi che, stando ai dati economici, sembra di difficile superamento. Che fare? Il governatore di Bankitalia non ha dubbi: un Paese che ha come risorse a disposizione le persone, il patrimonio artistico-culturale e quello ambientale deve investire su questi asset, con “politiche di formazione e istruzione più adeguate” all’economia attuale, sempre più competitiva e in rapida evoluzione. Per rimettere in moto la realtà produttiva e non compromettere presente e futuro di quei giovani, laureati e qualificati, che del sistema-Paese dovrebbero essere il perno.