La scuola è un’istituzione di carattere sociale.
Essendo parte integrante e fondamentale della società, essa non può evitare di osservare e ascoltare quello che succede nell’ambiente che la circonda.
Da anni è ormai in atto una nuova rivoluzione, che è quella digitale. Quest’ultima sembra non arrestarsi mai: la tecnologia oggi si evolve più velocemente di quanto possiamo a volte immaginare.
Il nostro è un mondo in continua evoluzione ed è compito anche di un’istituzione antica e tradizionale come la scuola stare a passo con i tempi e adattarsi ai cambiamenti.
Scuola del futuro o futuro della scuola?
Le strutture scolastiche, fino ad ora, hanno utilizzato le tecnologie per garantire una connessione, per accorciare e gestire le distanze. Ed è vero: il digitale serve anche a questo. Ma siamo passati, ormai, alla fase successiva. Il che non significa che i piccoli passi avanti che sono stati fatti non sono serviti. Significa semplicemente che, arrivati a questo punto, non sono più abbastanza.
La didattica tradizionale non può andare a braccetto con la digitalizzazione in corso: lo abbiamo visto con il fallimento della DAD.
Gli studenti, infatti, non si sentono tutelati dalla scuola: i dati odierni ci informano che un grande numero di maturandi non ha intenzione di iscriversi all’università. Probabilmente, la verità è che i giovani si sentono disorientati.: non vedono una corrispondenza né una coerenza con ciò che sperimento all’esterno e quello che vivono in classe.
La problematica fondamentale è che evidentemente non c’è una totale comprensione del fenomeno: la scuola non va digitalizzata. Certo, il libro va benissimo e sarà sempre utile. Piuttosto, bisogna ripensare completamente al sistema scolastico. Non si possono formare studenti in modo da farli avere dimestichezza solo con l’analogico. Quest’ultima è una tendenza che probabilmente non scomparirà , ma sarà sempre più messa all’angolo.
Il libro, il testo tradizionale sarà sempre un mezzo di supporto. Ma è ora di allargare l’esperienza di apprendimento. È ora di utilizzare tutti i canali che abbiamo per fornire una conoscenza completa, meno passiva, personalizzata e più reale.
L’esempio e l’idea più lampante in questo momento è quello dell’utilizzo della realtà aumentata e virtuale durante le lezioni. Questo tipo di contenuti multimediali permetterebbero allo studente di fare esperienze più coinvolgenti e contestualizzate, permettendo di associare l’astratto del testo alla realtà.
In questo modo, cambierebbe anche l’approccio cognitivo: la trasposizione da un pezzo di carta, che sicuramente stimola l’immaginazione, alla realtà vera e propria, stimolerebbe il ricordo, la sensibilità a determinati argomenti e la curiosità di approfondire alcune tematiche.
Il ruolo degli insegnanti
In questo contesto, quelli a sentirsi più disorientati sono, sicuramente, gli insegnanti. Alcuni di loro, infatti, probabilmente si sentono incapaci di affrontare un cambiamento così profondo nelle modalità di apprendimento dei loro giovani.
Il docente, infatti, non deve fare i conti solo con la digitalizzazione, ma anche con i nuovi modi di pensare e ragionare diffusi a livello globale. Esso deve essere pronto a confrontarsi con ragazzi che hanno idee diverse, modi diversi di apprendere e ragionare e che, nella società di oggi, vengono reputati allo stesso modo validi e degni. Ogni alunno deve potersi aspettare un’educazione personalizzata, che non abbia limiti e che gli permetta di esprimersi liberamente.
Con questo approccio, l’educazione scolastica passerebbe dall’essere un’attività passiva, puramente ricettiva, al diventare un’occasione di scambio e co-creazione. L’obiettivo sarebbe quello di creare un ambiente collaborativo, in cui studenti e docenti possono interagire per creare insieme un nuovo modo di insegnare e apprendere, che sia il più possibile coinvolgente per i ragazzi dell’attuale generazione.
L’insegnante, quindi, per arrivare a questo obiettivo, deve essere aperto ad ascoltare, osservare e rispettare il modo di vivere e di pensare dei ragazzi. Deve accogliere le idee che provengono dalle loro menti, le loro necessità, senza però perdere di vista l’obiettivo principale della sua professione: quello di insegnare ed educare.
Tutto ciò non si traduce con una presa di posizione e di potere da parte degli studenti a discapito dei professori. Piuttosto, con un nuovo modo di “fare scuola” in cui il sapere individuale diventa collettivo, aggregato. Questo non farebbe altro che fornire un valore aggiunto all’istruzione che, in questo modo, potrà andare avanti in un ambiente caratterizzato da un rinnovamento continuo e adatto a chi ne farà parte.
Uno sguardo ai nuovi corsi di studio
Oltre ai nuovi approcci e ai nuovi modi per veicolare l’educazione e la cultura, la scuola di tutti i gradi ha bisogno anche di un rinnovo delle materie da insegnare.
Nelle università si sente già parlare di corsi di studio “del futuro”. Si sta ampliando così l’offerta formativa degli atenei italiani, orientata su tre direttrici principali:
· ambiente;
· digitale;
· data science.
I nuovi corsi di studio incentrati su questi tre temi principali riguardano soprattutto (e inevitabilmente) le facoltà di Economia e Ingegneria, ma anche quelle di Medicina.
L’ideale, tuttavia, sarebbe includere nuovi percorsi di studio anche nelle facoltà più umanistiche.
Tornando al discorso fatto in precedenza, le università dovrebbero impegnarsi a formare insegnanti che devono mettersi in sintonia con i linguaggi della contemporaneità, unendo la conoscenza dei contenuti disciplinari alle competenze necessarie per vivere in una società connessa.
A tal proposito, si parla di laurea in Digital Humanities che approderà in Italia nell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, sotto il nome di “Corso magistrale in Digital Humanities. Beni culturali e materie letterarie”. Il corso di studio avrà come obiettivo proprio quello di formare docenti in grado di fornire un insegnamento adeguato al futuro dominato dalla digital transformation e dall’interconnessione globale.