In Italia l’insegnamento è una carriera prettamente femminile, ma solo per quanto riguarda i livelli più bassi d’istruzione. Così, se nelle scuole – specie in quelle dell’infanzia e nelle primarie – sono la stragrande maggioranza, tra i cattedratici le donne sono una vera e propria rarità. Leggendo i dati aggiornati al 31 dicembre 2016 del database del MIUR si scopre che nel nostro Paese diventare professore ordinario per una studiosa è ancora molto difficile. Sul totale di coloro che hanno raggiunto il massimo livello della carriera accademica, infatti, le donne sono appena il 22 per cento.
E se le chance di diventare professore ordinario sono più basse rispetto a quelle degli uomini, anche quelle di arrivare ad essere associato non sono poi così tante: i docenti di seconda fascia di sesso femminile sono il 37 per cento del totale. Soltanto tra i ricercatori la rappresentanza è più equilibrata. Gli uomini sono il 52 per cento del totale, mentre le donne rappresentano il restante 48 per cento. Solo che la loro carriera a un certo punto si blocca, senza riuscire – salvo in rari casi – a raggiungere il vertice.
Certo, non sono molti i paesi che possono vantare la parità totale tra uomini e donne in quanto a cattedratici, ma qualcuno ci è riuscito. In Finlandia, per esempio, nel ruolo di professore ordinario si è raggiunta una rappresentanza di genere del 50 e 50. E molti altri stati, tra cui Regno Unito, Portogallo, Norvegia e Svezia, si stanno sempre più avvicinando a questo obiettivo. L’Italia, invece, sembra ferma al palo. Peggio di noi fanno solo Svizzera e Grecia. Un dato del quale non c’è di sicuro da vantarsi, specie se si considera che nessun paese può davvero sperare di rivestire un ruolo di primo piano a livello internazionale, se si mostra incline a tenere fuori dalle posizioni apicali della società circa la metà dei propri cittadini.