Ricotti spiega che per operare una centrale EPR, dello stesso tipo di quelle che Enel costruirà in Italia, sono necessari 300 tra ingegneri e tecnici altamente specializzati, senza contare la fase di costruzione, che richiede 600 tra ingegneri e tecnici e 2.500 persone in cantiere, e tutto l’indotto tecnologico.
A causa dei tagli alla ricerca che hanno colpito anche questo settore della formazione universitaria e post-universitaria però il Belpaese rischia di rimanere senza ingegneri.
I pochi specializzati nel nucleare infatti sono andati all’estero, dove a causa della riconversione del nucleare per uso civile è in corso una vera e propria “caccia” all’ingegnere.
Nelle sei università che hanno mantenuto un insegnamento in campo nucleare (Politecnico di Torino, Politecnico di Milano, Alma Mater di Bologna, Università di Pisa, La Sapienza di Roma e Università di Palermo) il numero di docenti è limitato complessivamente a 70 unità stabili sostenuti da circa 150 persone con contratti a tempo determinato tra docenti, assegnisti di ricerca e collaboratori.
In Italia, spiega Ricotti, “vengono formati solo 60-70 studenti l’anno su tematiche nucleari e molti di loro vengono subito assorbiti dalla domanda estera anche per l’ottima reputazione dei laureati e dei dottorati italiani all’estero”.
Diversa la situazione all’estero: gli Usa hanno investito da poco oltre 50 milioni di dollari per nuovi progetti di ricerca, la Gran Bretagna, che sta rilanciando il programma nucleare ha stanziato 50 milioni di sterline per la creazione di nuovi laboratori e la formazione di 50 ricercatori ogni anno nel settore nucleare.