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Erano tutti studenti e si stavano recando in autobus all’università di
Mosul, città nel nord dell’Iraq.
Un’autobomba li ha colpiti ieri, provocando la
morte di uno studente e cento feriti. “Un attacco mirato alla minoranza cristiana”, così la polizia irachena ha spiegato il duplice
attentato avvenuto ieri nel nord del Paese, dove ormai si concentra la comunità decimata da anni di persecuzione religiosa.
Gli studenti si stavano recando alla sede dell’ateneo come fanno quotidianamente, “nonostante le costanti
minacce sotto cui vivono”, ha dichiarato alle agenzie di stampa Nissan Karoumi, sindaco di Hamdaniya. L’ateneo sarebbe infatti già da cinque anni nel mirino di gruppi estremisti islamici che lottano per la conversione dei giovani studenti, e spesso in università circolano volantini che, a colpi di slogan violenti e intimidatori, vogliono colpire “tutte le
irachene che non indossano il
velo”, minacciando di morte chiunque indossi abiti ispirati alla cultura occidentale.
Mosul stessa è ormai da tempo la zona più pericolosa d’Iraq per la
minoranza cristiana e per tale ragione in molti ormai sostengono che in breve tempo la città potrebbe diventare completamente musulmana, se le autorità non prenderanno serie misure per arginare le violenze e punire i responsabili delle aggressioni che per lo più rimangono sconosciuti.
A testimonianza di ciò arriva, proprio in questi giorni di attentati, il
rapporto di
Amnesty International “
Iraq: civili nel mirino“, che racconta, oltre ai danni causati dalla presenza forzata di truppe straniere, come le minoranze etniche e religiose continuano a loro volta a essere prese di mira.
A febbraio a Mosul, si legge nel rapporto, sono stati
assassinati almeno otto cristiani. In un caso, il 17 febbraio, “i due studenti cristiani Zia Toma (22 anni) e Ramsin Shmael (21 anni), sono stati bloccati da uomini armati a una fermata dell’autobus e costretti a mostrare i documenti”, immediatamente dopo, gli aggressori hanno aperto il fuoco, uccidendo Toma e ferendo Shmael.