Per il terzo appuntamento dell’inchiesta sul futuro dell’università abbiamo intervistato Fabio Goffi, rappresentante degli studenti dell’Università di Milano-Bicocca. Ancora una volta, il messaggio più forte per il governo Renzi, che ha annunciato la propria volontà di mettere nuovamente mano al sistema dell’istruzione terziaria, riguarda il diritto allo studio e le sue carenze. Prima di ogni altro intervento occorrerebbe uno stanziamento di circa 1 miliardo di euro che “garantirebbe una sufficiente copertura delle borse di studio alle famiglie a basso reddito”.
“Il problema indubbiamente più urgente riguarda il diritto allo studio”, spiega il rappresentante degli studenti dell’Università di Milano-Bicocca, che torna su un punto già emerso nelle precedenti interviste della nostra inchiesta, la figura dello studente idoneo non beneficiario, che “rappresenta una piaga totalmente ignorata”. Il secondo punto critico del sistema è, secondo Goffi, la valutazione degli atenei. A seguito della riforma Gelmini, essa ha un peso determinante nella ripartizione del Fondo di finanziamento ordinario (FFO), cosa che “porta al collasso gli atenei più in difficoltà e aumenta il divario tra gli stessi”, mentre “l’istruzione pubblica dovrebbe garantire gli stessi standard qualitativi ovunque si decida di iscriversi”. L’ultimo aspetto critico evidenziato da Fabio Goffi è “la presenza di membri esterni nei Consigli di Amministrazione degli atenei”.
In questo quadro, secondo il rappresentante degli studenti dell’Università di Milano-Bicocca, le misure più urgenti da adottare sarebbero un investimento pari a circa 1 miliardo di euro da destinare al diritto allo studio, che possa garantire la copertura delle borse per tutti gli idonei, accompagnato dal ritorno al vecchio sistema di distribuzione dell’FFO, che “darebbe respiro agli atenei a rischio default, in particolare nel Sud Italia”. E poi, per Goffi servirebbe anche una bella sforbiciata ai corsi di laurea, che elimini quelli eccessivamente professionalizzanti. Questo “permetterebbe di restituire all’Università il ruolo che possedeva in passato, cioè non esclusivamente legato ad un successivo inserimento nel mondo del lavoro”, evidenzia il rappresentante.
Quanto al numero chiuso, invece, altra questione che da anni agita il mondo dell’università, Fabio Goffi si dice contrario al sistema, con qualche distinguo. La programmazione degli accessi per i corsi di Medicina e Professioni sanitarie ha un senso, poiché “lo Stato che forma è anche il soggetto che poi dovrà assumere (eccezion fatta per le strutture sanitarie private)”, ma per tutti gli altri percorsi di studio “il discorso è totalmente diverso ed è una diretta conseguenza della premialità degli atenei introdotta dalla Gelmini”. Il dilagare del numero programmato è figlio di una logica perversa, in quanto “non viene introdotto per garantire ai laureati maggior possibilità di lavoro, ma semplicemente perché fra i criteri ANVUR che permettono di ricevere più FFO c’è il numero degli abbandoni“. Per tenere basso questo dato gli atenei hanno scelto la strada dell’inserimento del numero programmato, ma questo, conclude il rappresentante degli studenti dell’Università di Milano-Bicocca “non ha alcuna conseguenza positiva per lo studente e causa uno spostamento continuo di iscritti verso corsi a numero aperto che saranno a loro volta costretti, per far fronte ai numeri, a chiudere l’accesso”.