La fuga dall’Italia dei dottori di ricerca è una realtà con cui fare i conti: lo conferma un indagine Istat, Istituto nazionale di statistica, che “certifica” la persistente fuga dei cervelli dal nostro Paese. La ricerca ha preso in esame un campione di oltre 18.000 dottori di ricerca evidenziando come quasi 1.300 di questi, trattasi del 7 per cento, siano già emigrati in un Paese straniero. Lo studio è stato compiuto su coloro i quali avevano conseguito il titolo di dottorato negli anni 2004 e 2006. Si tratta di un dato allarmante e che fotografa una tendenza in atto da tempo, ma che non è stato affrontato con delle adeguate contromisure.
L’indagine dell’Istat ci racconta anche delle differenze che contraddistinguono il nostro Paese anche in quest’ambito: la fuga dei cervelli all’estero è infatti un fenomeno più marcatamente settentrionale. Le quote di emigrazione dei dottori di ricerca nelle regioni del Nord oscillano fra il 6,9 per cento dell’Emilia-Romagna, al picco del 10,5 per cento della Liguria. Gli originari del Mezzogiorno invece tendono a spostarsi verso il Centro e il Nord Italia, restando dunque all’interno dei nostri confini.
La ricerca offre ulteriori indicazioni: ad andare all’estero sono maggiormente gli uomini (7,6 per cento contro il 5,1 delle donne); sono più attratti dalle opportunità offerte fuori dai nostri confini soprattutto i ricercatori delle scienze fisiche, seguiti da chi ha conseguito un dottorato in matematica o in informatica. L’Istat ci dice inoltre che il dottore di ricerca che abbandona l’Italia ha generalmente alle spalle dei genitori istruiti: il 10 per cento ha infatti almeno un genitore laureato.
L’indagine ci permette dunque di disegnare l’identikit del cervello in fuga: originario del settentrione, con genitori istruiti, ha conseguito il dottorato prima dei 32 anni e svolge almeno parte della propria attività di ricerca nel lavoro cominciato subito dopo il conseguimento del titolo. Questi tratti comuni contraddistinguono il 35 per cento di coloro che sono emigrati all’estero.
Se nel fare esperienza all’estero ci sono indubbi elementi positivi e “fisiologici”, il fenomeno registrato dall’indagine Istat sulla fuga dei dottori di ricerca non è adeguatamente controbilanciato da stranieri che vengono a svolgere attività di ricerca in Italia. La fuga dei cervelli causa infatti una perdita di un milione di euro l’anno per le nostre casse. Rimane inoltre il problema atavico del divario tra Nord e Sud che attanaglia da sempre l’Italia.
Ma onestamente con le possibilità di carriera e guadagni che c’è all’ estero un ricercatore può mai rimanere in Italia? anzi mi meraviglio siano così pochi mi sarei aspettata che scappassero tutti.