Indagine In & Out sul precariato nell'università 2017
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Indagine In & Out sul precariato nell’università 2017: “Aumentano i contratti a termine”

da | Nov 2017 | News | 0 commenti

Tra il personale docente e di ricerca impiegato nei nostri atenei dilagano i contratti a tempo determinato. Lo conferma l’Indagine In & Out sul precariato nell’università 2017, commissionata da Sinistra Italiana (SI) e realizzata da Orazio Giancola, del Dipartimento di Scienze sociali ed economiche, della Sapienza di Roma, e Francesco M. Vitucci, del Dipartimento Saperi di SI. L’analisi ha evidenziato come, ogni 10 docenti o ricercatori a tempo indeterminato andati in pensione, meno di 2 ricercatori precari siano assunti stabilmente. La maggior parte di coloro che avevano un contratto a termine, invece, è stata espulsa dal sistema. Questo a causa dei contingenti imposti dal blocco del turn over e dei tagli ai finanziamenti.

Più della metà dei ricercatori è a tempo determinato

I dati dell’Indagine In & Out sul precariato nell’università 2017 mostrano che su 99.533 tra professori ordinari e associati,  ricercatori a tempo indeterminato (assunti prima della riforma Gelmini), ricercatori a tempo determinato di tipo A e B, assegnisti di ricerca e dottorandi con borsa di studio attualmente impegnati negli atenei italiani, il 51,5 per cento ha un contratto a termine.

Benché tra il 2010 e il 2015 siano andati in pensione 14.492 tra docenti e ricercatori, l’Indagine In & Out sul precariato nell’università 2017 mostra che sono stati assunti solo 2.295 ricercatori di tipo B. A questa categoria appartengono coloro che sono riusciti a ottenere l’abilitazione scientifica nazionale e quasi certamente diverranno professori associati. I colleghi ricercatori di tipo A, che attualmente sono 3.687, non hanno alcuna certezza. Scaduto il contratto triennale, c’è solo la possibilità di una ulteriore proroga di due anni. Trascorsi i quali, se non si saranno a loro volta abilitati, saranno obbligati a lasciare la carriera accademica.

Ad assegnisti, dottorandi e borsisti va ancora peggio

Questo può già sembrare un quadro a tinte fosche, tuttavia le cose si fanno ancora più drammatiche se si va a guardare la condizione di assegnisti, dottorandi e borsisti. Per loro il futuro è davvero un’incognita totale. I numeri forniti dal MIUR dicono che nel 2017 ci sono 13.350 assegnisti impegnati nei nostri atenei. I dottorandi, invece – ma in questo caso il dato ministeriale è aggiornato al 2015 – sono 31.651. I borsisti? Non si può nemmeno quantificarli.

L’Indagine In & Out sul precariato nell’università 2017 dice che nel periodo compreso tra il 2010 e il 2016 quasi 43mila giovani hanno ottenuto un assegno di ricerca. Di questi, però, circa il 93 per cento è ormai uscito dal sistema accademico. Coloro che, scaduto l’assegno, sono riusciti a ottenere un posto da ricercatore a tempo indeterminato rappresentano una sparuta minoranza (3mila unità). E tra gli assegnisti attualmente attivi l’anno prossimo le porte dell’università si chiuderanno per 1.326 giovani. La riforma Gelmini, infatti, prevede che non si possano superare le sei annualità di impiego con questo inquadramento.

Per loro, l’unica possibilità rimane quella di conseguire l’abilitazione scientifica nazionale, per poter accedere a una posizione da ricercatore che preluda a una stabilizzazione come professore associato. Ma i tempi potrebbero essere più lunghi del previsto. Date le polemiche che il nuovo meccanismo ha generato, si sta già pensando di rimaneggiarlo. Poiché la legislatura è agli sgoccioli, però, non è detto che non si lasci tale compito al prossimo governo.

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