I vertici del corso di laurea in Medicina dell’Università di Torino sono indagati dopo la denuncia da parte di una studentessa tirocinante alle Molinette contagiata dalla tbc e dei suoi genitori, che hanno dovuto fare la profilassi per evitare l’espandersi della malattia. Il pm Raffaele Guariniello ipotizza i reati di lesioni colpose ed epidemia colposa, in relazione al fatto che dopo la prima segnalazione della malattia non sarebbero state adottate misure idonee a prevenire ulteriori contagi, a partire dalla sospensione dei tirocini.
I vertici della facoltà, secndo il pm, avevano infatti consentito ai tirocinanti di completare la prima parte del corso e avevano spiegato anche ai pm che il vaccino contro la tbc ha effetto solo in 4 casi su 10, peraltro in assenza di specifiche prescrizioni per prevenire il contagio.
Per la procura, invece, queste prescrizioni esistono: una direttiva del ministero della Salute prescrive esami e vaccini a chiunque operi a diverso titolo nelle corsie degli ospedali e pare che sia anche obbligatorio il vaccino anti-tubercolosi per gli studenti. Da qui l’iscrizione nel registro degli indagati da parte dei magistrati di Torino, che hanno riscontrato diversi casi di contagio, tra cui anche un medico, due addetti alle pulizie e un infermiere del day hospital dell’Amedeo di Savoia.
L’attenzione degli inquirenti si concentra anche sulla mancata segnalazione all’Azienda sanitaria locale dei casi riscontrati lo scorso ottobre e la sospensione ritenuta tardiva del corso di laurea, che è avvenuta il 14 novembre. Complessivamente, su 163 studenti monitorati i casi di contagio sarebbero finora 5, mentre sono 25 i soggetti positivi al batterio ma che non hanno contratto la malattia.
L’aspetto subdolo della tubercolosi è che la malattia può svilupparsi anche a distanza di anni e in alcuni casi, com’è accaduto anche a una studentessa di Torino, può anche essere asintomatica. La profilassi per parenti e frequentatori abituali dei soggetti contagiati consiste poi in una terapia antibiotica per oltre sei mesi, mentre il periodo di cura per chi si ammala dura un anno e mezzo o due e può lasciare strascichi come complicanze al fegato.
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