E se la riforma della scuola che il governo Renzi ha annunciato pesasse sulla ricerca? Si fanno, infatti, sempre più insistenti le indiscrezioni secondo le quali saranno nuovi tagli lineari a garantire le coperture per il piano di assunzione dei 150mila insegnanti precari e gli altri provvedimenti prospettati dall’esecutivo. Per racimolare le risorse necessarie è stato deciso di tagliare del 3 per cento il bilancio di ciascun ministero, questo per il MIUR significa una riduzione di 1 miliardo e 500 milioni, di cui 400 dovrebbero essere recuperati – almeno secondo Il Sole 24 ORE – proprio dalla ricerca.
Niente di nuovo sotto il sole, insomma. Il governo Renzi, che avrebbe dovuto essere quello del cambiamento e che aveva promesso di non fare nuovi tagli alla ricerca e all’università, ripercorre il sentiero già esplorato in passato: una spending review che sposta le risorse da una voce all’altra. Colpendo, purtroppo, una di quelle già più martoriate negli ultimi anni.
Ma non ci saranno solo nuovi tagli alla ricerca. Anche l’università sarà interessata da una revisione della spesa, che comporterà la ridefinizione – in senso restrittivo – dei criteri anagrafici e di merito per le borse di studio, anche per restringere la platea degli idonei non beneficiari. Questo, avverte l’associazione studentesca Link, comporterà una diminuzione sostanziale dei contributi erogati in tutte le regioni italiane.
Il portavoce dell’associazione, Alberto Campailla, accusa l’esecutivo: “Pensare di cambiare il sistema formativo italiano continuando a togliere risorse economiche rappresenta lo svelamento degli slogan del presidente Renzi. Tagliare 400 milioni sulla ricerca non è la strategia politica di chi vuole investire sull’innovazione e sul futuro della nostra generazione, è solo il gioco delle tre carte”.
Il ministro dell’Istruzione del governo Renzi, Stefania Giannini, nega le accuse e i nuovi tagli alla ricerca, assicurando che le indiscrezioni dei giornali non corrispondono alle intenzioni dell’esecutivo, il quale mette la ricerca “al centro dell’agenda politica”, ma subito dopo precisa che sui costi intermedi si può ancora intervenire. Una smentita che sembra tanto una velata conferma.