Se si fa una ricerca su Google, molto spesso i nomi tipici della popolazione afro-americana – in oltre il 25 per cento delle ricerche – risultano associati alla notizia di un loro eventuale arresto, molto più di frequente rispetto ai nomi tipici da “bianchi”. Ѐ quanto emerso da uno studio condotto da Latanya Sweeney, professoressa di Governmnet and Technology dell’Università di Harvard. In particolare, l’analisi si è concentrata sugli avvisi pubblicitari a pagamento pubblicati dall’agenzia Checkmate, che utilizza Adwords per la pubblicazione di annunci testuali, immagini e video tra le pagine di risultati del più famoso motore di ricerca al mondo, definito adesso come “razzista”.
Lo studio condotto ad Harvard ha preso spunto da un fatto accaduto alla stessa Latanya Sweeney, che porta un nome assai frequente nella comunità afro-americana. Digitandolo sul search engine di Google, infatti, la donna ha visto apparire il seguente avviso pubblicitario: “Latanya Sweeney arrestata? Inserisci il nominativo e lo Stato, e avrai accesso a tutti i dati. Firmato: www.instantcheckmate.com”, che lasciava intendere che in passato la docente avesse compiuto dei reati. La Sweeney, allora, si è iscritta e ha controllato il proprio casellario giudiziario, ma ovviamente non ha trovato alcuna informazione che la riguardasse.
Da tale accaduto, la Sweeney ha iniziato a sospettare che Google in realtà fosse razzista e così ha avviato uno studio, inserendo su tale motore di ricerca e su reuters.com oltre duemila nominativi di persone appartenenti sia alla razza “bianca” che a quella “nera”: il 60 per cento dei nomi afro-americani venivano collegati ad avvisi pubblicitari – tutti provenienti da InstantCheckMate – contenenti il termine “arresto”, mentre lo stesso accadeva solo al 48 per cento di quelli tipici della popolazione caucasica.
Nonostante i risultati dallo studio di Harvard, che dipingono un Google “razzista”, il famoso motore di ricerca respinge qualsiasi tipo di accusa, spiegando che “Adwords non elabora nessuna analisi in base alla provenienza razziale”. E non è tutto: “Abbiamo – si legge in un comunicato dell’azienda – una policy anti-violenza in base alla quale non consentiamo la pubblicazione di réclame che prendano di mira un’organizzazione, una persona o un gruppo di persone. Spetta ai singoli pubblicitari decidere quali parole chiave vogliono scegliere per promuovere i loro avvisi”.