Gli stanziamenti destinati agli atenei si avviano verso il minimo storico: il Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) 2013 sarà di appena 6,5 miliardi di euro, con una riduzione di 400 milioni rispetto al 2012 (meno 5 per cento). Tale cifra, avvertono rettori e comunità accademica, è a malapena sufficiente per pagare stipendi e spese e il sistema rischia il collasso. E, facendo un po’ di calcoli, c’è già chi teme che alcuni atenei siano a rischio di accorpamento.
La riduzione del Fondo di finanziamento ordinario deriva dall’applicazione di quel taglio che era stato annunciato dalla legge di stabilità 2012: tra gli ultimi atti del ministro Profumo, il decreto è ora al vaglio della Corte dei conti. Ma CRUI e CUN non hanno dubbi: serve il reintegro, o la crisi del sistema sarà irreversibile. Infatti, le spese obbligatorie per gli atenei – tra stipendi del personale e spese per obbligazioni varie – si attestano almeno sui 6,4 miliardi di euro, dunque alle università rimarrebbe solo una percentuale minima (l’1,5 per cento) per coprire servizi e nuove assunzioni di ricercatori.
La stessa bozza di decreto cancella i fondi ad oggi esistenti per i consorzi di ricerca interuniversitari, mentre prevede una quota “bonus” di 818 milioni destinata agli atenei migliori per qualità di didattica e ricerca, anche se la definizione di tempi e modi dello stanziamento è rimandata a un decreto successivo. E così alla comunità accademica non resta che sperare appunto in un reintegro del Fondo di finanziamento ordinario di almeno 400 milioni di euro, reintegro che nel 2012 ha concesso al sistema una boccata di ossigeno. Quello che è certo è che se non dovesse esserci, saranno gli studenti a rimetterci, perché per il dm 297/2012 sul reclutamento gli atenei possono assumere nuovi professori e avviare nuovi progetti solo se hanno soldi a sufficienza a disposizione – soldi che oltre al fondo ministeriale sono dati dalle tasse studentesche. E, se il fondo cala, si teme che le tasse aumenteranno.
In alternativa, l’altra via è quella prevista dall’articolo 2 del decreto di Profumo: un “dimensionamento sostenibile del sistema universitario” da ottenersi mediante l’accorpamento tra due o più atenei o, secondariamente, mediante modelli federativi, organizzati su base regionale o macroregionale, con la riduzione dei corsi delle sedi decentrate.
Professori e rettori sono già in allarme, e bisognerà aspettare di capire cosa intenderà fare il governo per tradurre in pratica le parole del neoministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, che pochi giorni fa dichiarava: “Dobbiamo lavorare molto per definire delle priorità anche di recupero sui tagli devastanti che sono stati fatti, razionalizzare investimenti che attualmente vengono fatti nella ricerca e lavorare per trovare altre forme di finanziamento”.