In occasione della Festa della donna il consorzio AlmaLaurea ha diffuso un’anticipazione sui dati del rapporto 2013 sull’occupazione dei laureati, che sarà presentato all’Università Ca’ Foscari il prossimo 12 Marzo. Secondo le cifre fornite, il divario occupazionale tra uomini e donne non accenna a colmarsi e, pur a parità di qualifiche, le laureate continuano a guadagnare meno dei colleghi. Ad essere maggiormente penalizzate nel mercato del lavoro sono in particolare le laureate con figli, che hanno più difficoltà a trovare o mantenere un impiego e sono pagate meno di quelle che non ne hanno.
Ciò che più colpisce nella documentazione che anticipa il rapporto AlmaLaurea 2013 sulla condizione occupazionale dei laureati italiani è che il gap tra i generi si faccia sentire prepotentemente fino dal periodo immediatamente successivo al conseguimento del titolo. Si tratta di un segnale molto negativo, che rispecchia “un ritardo culturale e civile del Paese rispetto all’obiettivo di realizzare una partecipazione paritaria delle donne al mercato del lavoro”, come ha commentato Andrea Cammelli, direttore di AlmaLaurea.
Se si vanno a guardare i dati sul tasso di occupazione dei laureati di II livello, le differenze tra uomini e donne sono palesi già a un anno dalla laurea. Il rapporto AlmaLaurea 2013 segnala che il divario è di ben 7,5 punti percentuali, con 63 uomini su cento che lavorano a fronte del 55,5 per cento delle donne. Le differenze di genere riguardano non solo il tasso di occupazione, ma anche la retribuzione – gli uomini percepiscono mediamente il 32 per cento in più (1.220 euro contro 924 euro mensili netti) – e la stabilità del lavoro (il 39 per cento degli uomini ha un impiego stabile contro il 33 per cento delle colleghe).
Anche dopo cinque anni dalla laurea si conferma il divario occupazionale tra i sessi: su 100 donne sono 83 quelle che lavorano, mentre per gli uomini il tasso di occupazione è all’89 per cento. E anche il lavoro stabile sembra essere un’esclusiva maschile. I laureati con un contratto a tempo indeterminato sono l’80 per cento, mentre le colleghe che possono contare su questa sicurezza sono il 14 per cento in meno. Questo, sottolinea il rapporto AlamaLaurea 2013, anche a causa del fatto che sia dura a morire nel nostro Paese l’idea che nonostante tutto lo sbocco lavorativo ideale per le donne che hanno raggiunto i livelli più alti di istruzione sia l’insegnamento. Come se non bastasse, col passare del tempo si acuiscono anche le differenze in termini di retribuzione: a cinque anni dalla laurea gli uomini guadagnano in media 1.646 euro mensili e le donne 1.266 euro.
A fare maggiormente le spese di questa situazione sono le donne che hanno figli, per le quali il tasso di occupazione scende al 72 per cento (contro l’89 degli uomini). Le laureate con prole risultano svantaggiate anche rispetto alle colleghe senza figli, con le quali c’è un divario pari a 12 punti percentuali in termini di occupazione e del 14 per cento per quanto riguarda la retribuzione (1.247 euro contro 1.090 euro).
Viste le cifre, non sembra assurdo parlare quasi di discriminazione. Secondo Cammelli, i dati del rapporto AlamaLaurea 2013 mettono in luce tutte le carenze del nostro Paese “in termini di politiche a sostegno della famiglia e della madre-lavoratrice, soprattutto perché dai dati appena citati si evidenzia con forza lo scarto occupazionale esistente tra le laureate, a seconda della presenza o meno di figli”. Si tratta, insomma, di una situazione sulla quale è necessario intervenire quanto prima, anche perché un maggiore e più qualificato impiego della forza lavoro femminile sarebbe determinante per portare l’Italia fuori dalla crisi.