Sta facendo molto discutere uno studio dell’Università di Southampton, nel Regno Unito, che confermerebbe il permanere della coscienza anche dopo la morte cerebrale, suffragando l’esistenza di esperienze extra-corporee. La ricerca, se i risultati ottenuti dagli studiosi dell’ateneo britannico trovassero conferma, getterebbe una nuova luce su quello che c’è alla fine della vita, un argomento che ha da sempre attirato l’attenzione di tutti gli uomini e stimolato la creatività di registi, artisti e scrittori.
La morte cerebrale viene considerata la fine della vita di un soggetto, tant’è che quando essa viene accertata la legge autorizza a procedere all’espianto degli organi. Eppure, secondo un gruppo di ricercatori dell’Università di Southampton, qualcosa dell’individuo “non muore” anche se il cervello smette di funzionare e permette di avere coscienza di ciò che accade.
I ricercatori hanno raccolto le testimonianze ed esaminato i casi di oltre duemila persone che in quindici ospedali in Gran Bretagna, Austria e Stati Uniti hanno avuto un arresto cardiaco di una durata tale da determinare lo stop delle attività cerebrali, ma sono poi stati rianimati con successo. Dai dati raccolti è emerso che il 40 per cento circa dei sopravvissuti conservava dei ricordi riferiti ai minuti nei quali erano clinicamente morti. Uno dei soggetti, addirittura, ha raccontato di aver visto ciò che stava accadendo intorno a lui mentre il personale sanitario cercava di riavviare il suo battito cardiaco.
Il fatto che il 60 per cento di coloro che per qualche minuto si sono trovati in uno stato di morte cerebrale non abbiano riferito di un permanere della coscienza è stato spiegato dai ricercatori britannici come conseguenza dei danni riportati al cervello o dei sedativi che erano stati somministrati. Nei racconti di chi asserisce di avere dei ricordi, comunque, emergono dei temi ricorrenti. Un quinto dei soggetti ha parlato di un grande senso di serenità e uno su tre ha riferito di aver percepito un’accelerazione o un rallentamento nello scorrere del tempo. Altro elemento frequente è la presenza di una forte luce. Qualcuno, invece, ha raccontato di aver provato sensazioni spiacevoli, simili all’annegamento.
Lo scetticismo rispetto a quanto sostengono gli autori di questo studio è grande. I detrattori credono che lo stato di coscienza di cui parlano i sopravvissuti si riferisca a momenti immediatamente precedenti o successivi alla momentanea morte cerebrale. Tuttavia non mancano i sostenitori della veridicità di quanto affermano gli scienziati dell’Università di Sothampton. David Wilde, psicologo della Nottingham Trent University, ad esempio, sostiene che esistono “alcune prove molto importanti in base alle quali queste esperienze sono veramente accadute dopo che le persone erano clinicamente morte”. Per sapere chi ha davvero ragione non resta che aspettare che gli studi sull’argomento proseguano.