Un assassino si può riconoscere da alcuni segni, la cui presenza aiuta non solo a stabilire chi ha già ucciso ma perfino a predire chi potrebbe in futuro commettere un omicidio. Cesare Lombroso e le sue teorie, però, non c’entrano nulla: a spiegare quali e quanti sono i segnali rivelatori di un’attitudine al crimine violento sono stati due criminologi della University of Texas.
Sono cinque, secondo Ashbel Smith e Alex Piquero, i segni da considerare per poter riconoscere un assassino e riguardano caratteristiche demografiche, biografiche e psicologiche. La loro teoria è stata elaborata a partire dall’analisi del profilo di 1.300 giovani americani sotto processo con l’accusa di aver commesso gravi crimini (di cui diciotto accusati di omicidio) ed è stata presentata sulla rivista Youth Violence and Juvenile Justice.
A ispirare il lavoro dei due criminologi americani è stata la volontà di scoprire se è possibile distinguere chi si è macchiato di un qualunque crimine, da chi ha commesso un omicidio. Lo studio di Smith e Piquero è focalizzato in particolare sui giovani ed ha anche intenti predittivi e preventivi.
I cinque segni per riconoscere un assassino riguardano l’età del soggetto, il quoziente intellettivo (QI), il grado di esposizione alla violenza, il rapporto con le armi e quello con il quartiere in cui si vive. Un basso QI, un alto grado di esposizione alla violenza fin dall’infanzia, l’abitudine a girare armati e la percezione che il quartiere in cui si vive sia “disordinato” sono associati a una maggiore predisposizione al crimine e ai comportamenti antisociali. In particolare, il quoziente d’intelligenza e il grado di esposizione alla violenza sono i due fattori che statisticamente sono più frequenti in chi ha commesso un omicidio.
“Gli adolescenti che crescono in un ambiente violento possono imparare a considerare normale affrontare i loro problemi attraverso la violenza”, spiegano i due criminologi americani, e quando si trovano “in situazioni in cui l’uso della violenza è una possibilità, possono optare per questa opzione perché hanno imparato a considerarlo giusto o necessario in tale contesto”. Per Smith e Piquero, dunque, nessuno è destinato fin dalla nascita a diventare un assassino, ma sono le cattive influenze e alcuni tipi di esperienze negative ad accrescere il rischio che un giovani si macchi di un omicidio.