I tanto discussi test Invalsi potrebbero presto arrivare anche all’università. L’ha annunciato il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Maria Chiara Carrozza, in un’intervista al quotidiano La Stampa. Nella visione del ministro, il sistema universitario dovrebbe avere strumenti di valutazione non solo della qualità di didattica e ricerca, ma anche delle competenze e delle conoscenze raggiunte dagli studenti, per garantire che i nostri laureati siano sullo stesso livello di quelli degli altri Paesi.
Ad allarmare il ministro Carrozza sono alcuni dati, come quelli dell’ultima analisi Ocse-Pisa, definiti senza mezzi termini “drammatici”. Secondo l’indagine, la media dei laureati italiani avrebbe lo stesso livello di competenze raggiunto dagli studenti di scuola secondaria giapponesi. I nostri giovani, quindi, si troverebbero in una situazione di svantaggio qualora dovessero trovarsi a competere con i loro coetanei stranieri, cosa che con la globalizzazione non è così improbabile. L’adozione di test di valutazione simil-Invalsi anche all’università servirebbe quindi ad accertare la reale preparazione di coloro che si approssimano al conseguimento del titolo e a guidare gli interventi correttivi, per far sì che la laurea italiana abbia davvero lo stesso valore di quella presa altrove.
Il problema della mancanza o dell’inadeguatezza delle competenze dei laureati italiani era stato sollevato proprio ieri anche dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, che in proposito aveva parlato di “analfabetismo funzionale”. A questo fenomeno il numero uno di via Nazionale imputa in parte la scarsa considerazione di cui i laureati godono nel mondo del lavoro, un mondo nel quale sono costretti a scontrarsi con retribuzioni e opportunità professionali che sono in tutto e per tutto paragonabili a quelle dei diplomati.
La colpa, però, non è tutta degli atenei e il divario tra le competenze dei laureati italiani e di quelli stranieri, secondo Carrozza va affrontato in maniera globale. L’introduzione di test paragonabili a quelli dell’Invalsi anche all’università, infatti, non servirebbe a nulla se non fosse accompagnata da un potenziamento del sistema di valutazione a partire dalla scuola primaria, in quanto i risultati raggiunti in ogni grado di istruzione dipendono da quelli ottenuti nei precedenti: “Se i ragazzi escono da scuola con una preparazione non all’altezza dei loro coetanei degli altri Paesi, anche l’università non può funzionare”, ha sintetizzato il ministro.