I giovani italiani sono sempre meno attratti dalla chirurgia e così si registra un calo delle iscrizioni alle scuole di specializzazione. Diversi i fattori responsabili di tale tendenza. In primis il percorso formativo troppo lungo e, una volta conseguito il titolo di studio, le difficoltà occupazionali innumerevoli, con il rischio – tra le altre cose – di rimanere anche per anni precari. A denunciare tale situazione ad Adnkronos Salute è Luigi Presenti, presidente dell’Associazione chirurghi ospedalieri italiani (Acoi).
Secondo gli ultimi dati del ministero della Salute, sono oltre 7mila i chirurghi generali che operano nel Servizio sanitario nazionale, ma l’intera area – che comprende tutte le specialità del settore – conta circa 25mila medici. Così come spiega Presenti, “è da un decina di anni che assistiamo a una riduzione dell’appeal della chirurgia, oggi divenuta minoritaria rispetto ad altre specialità. Quest’anno – aggiunge il presidente – ci sono 257 posti a disposizione nelle scuole di specializzazione (39), distribuiti lungo lo Stivale. Ma spesso i posti rimangono vuoti”.
Rispetto ad alcuni anni fa, infatti, oggi i numeri sono piuttosto diversi: “Molte scuole – dice Presenti – sono state accorpate perché non raggiungevano il numero di iscritti. Quando ho iniziato, nel 1980, per 16 posti a Roma i candidati erano 300″. Oggi non sembra essere più così e le iscrizioni alle scuole di specializzazione dell’area di chirurgia risultano essere in netto calo. Ciò è imputabile al fatto che “i giovani sono spaventati dalla lunghezza del percorso formativo e dalle difficoltà occupazionali. Studiano molto, anche per 15 anni – sottolinea il chirurgo – e poi c’è il rischio che rimangano precari per altri 10″.
Nel calo delle iscrizioni alle scuole di specializzazione in chirurgia entrano in gioco anche altri fattori, come l’aumento esponenziale del rischio di avere delle denunce, con gravi conseguenze civili e penali per il chirurgo, e i tagli al Servizio sanitario nazionale italiano da parte dei governi che si sono succeduti, che non hanno fatto che ridurre le possibilità di assistenza ai pazienti, oltre che la qualità del lavoro ospedaliero. Questo il consiglio suggerito da Presenti per invertire tale tendenza: “Una maggiore integrazione tra la formazione università e l’attività ospedaliera, per migliorare la parte ‘pratica’ che i giovani specialisti devono saper affrontare”.