In Italia meno della metà dei dottori di ricerca lavora negli atenei. Chi non prosegue la carriera accademica sempre più spesso trova lavoro nelle aziende, dove per lo più viene inserito nel settore Ricerca e Sviluppo. Così anche da noi la figura del ricercatore, in passato inestricabilmente legata al mondo dell’università, con frequenza sempre maggiore varca i confini degli atenei per entrare nel mondo delle imprese. Un’inversione di tendenza che, in un mondo nel quale è sempre più centrale l’innovazione, non può che avere ricadute positive anche a livello economico.
Tra il 2006 e il 2016 20mila ricercatori sono stati assunti dalle aziende
Se si esaminano i dati di Eurostat, si scopre che tra il 2006 e il 2016 i ricercatori assunti dalle università sono aumentati di 12mila unità, mentre quelli che hanno trovato posto in azienda sono cresciuti di ben 20mila. E in alcuni settori la domanda delle imprese è addirittura superiore rispetto all’offerta. È il caso, ad esempio, dell’Ingegneria informatica, in cui le aziende sono continuamente a caccia di laureati brillanti e dottori di ricerca. Al punto che per le università è molto difficile riuscire a trattenere e coltivare i propri talenti.
Lungi dall’essere un fenomeno pericoloso, ciò si rivela un input formidabile per la crescita sia dell’innovazione a livello aziendale sia della ricerca accademica. L’interazione e la competizione tra impresa e università, infatti, spinge entrambe a produrre non solo più ricerca, ma anche di maggior qualità, alimentando un circolo virtuoso.
I dati occupazionali dei dottori di ricerca
Il Politecnico di Milano ha recentemente realizzato un’indagine su un campione di 600 dottori di ricerca, da cui è emerso che a un anno dal conseguimento del titolo il tasso di occupazione raggiunge il 94,7 per cento. Tra coloro che hanno trovato lavoro, ben il 72,3 per cento risulta assunto a tempo indeterminato da un’azienda. Un dato significativo, specie se confrontato con quello relativo ai semplici laureati. Questi ultimi, infatti, solo in poco più del 50 per cento dei casi riescono a ottenere un contratto di questo tipo.
Il dottorato, quindi, aumenta in maniera determinante le possibilità di trovare un impiego stabile. Ma non solo. I dottori di ricerca hanno anche stipendi più elevati. In media, infatti, guadagnano intorno a 2mila euro mensili. Chi ha in tasca solo la laurea, invece, ne percepisce circa il 35 per cento in meno.
Non sono solo i dottori di ricerca del Politecnico di Milano ad avere una marcia in più. Anche i dati nazionali confermano le migliori performance occupazionali di chi ha continuato gli studi dopo la laurea. Secondo AlmaLaurea, a un anno dal titolo, i dottori che hanno un lavoro sono l’85 per cento. I laureati magistrali per raggiungere un tasso di occupazione paragonabile debbono attendere 5 anni dalla laurea. Mentre a 12 mesi dal titolo risultano occupati solo nel 71 per cento dei casi. Il dottorato costituisce un vantaggio anche a livello retributivo, garantendo stipendi medi da 1.610 euro mensili, a fronte dei 1.153 dei laureati a un anno dal titolo e dei 1.405 di quelli che hanno completato gli studi da 5 anni.
I dati, insomma, sembrano evidenziare i vantaggi di una maggiore specializzazione. Studiare più a lungo non rappresenta uno svantaggio, bensì un plus. Sebbene i dottori di ricerca entrino nel mercato del lavoro più tardi, infatti, lo fanno con un profilo più forte e più attraente per le imprese. Il dottorato, dunque, è sempre più un investimento per il futuro professionale anche per coloro i quali non proseguono la carriera accademica.