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Ogni anno
20mila laureati lasciano il
Mezzogiorno per trasferirsi nel Nord Italia, e altri 2mila si trasferiscono all’estero.
È il bilancio reso noto questa mattina da Nino Novacco, Presidente dell’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno (
Svimez), che ha tenuto un’audizione alla Commissione Finanze della Camera dei Deputati proprio nel contesto dell’istruttoria legislativa in corso sulla proposta di legge per il
rientro dei cervelli.
Ma oltre a incentivi fiscali individuali, ha dichiarato Novacco, “servono interventi strutturali sui territori” che attraverso politiche credibili riescano a favorire un incremento dell’
occupazione nel Mezzogiorno.
Il
rischio per la
proposta di legge sul rientro dei cervelli in Italia ( la n. 2079), infatti, sembra proprio essere quello di coinvolgere una percentuale troppo bassa dei cervelli in fuga italiani: vale a dire solo quelli che “fuggono”
all’estero.
Questi, ha dichiarato il Presidente di Svimez, costituiscono solo il
10 per cento dei giovani meridionali. Secondo i dati resi noti dalla Svimez, infatti, ogni anno per ogni laureato meridionale in uscita dal Sud e diretto all’estero “dieci risalgono lo stivale e si fermano”.
In altre parole, la
fuga dei cervelli in Italia riguarderebbe molto più da vicino l’emigrazione al Centro-Nord, che all’estero. Un fenomeno che coinvolge in particolar modo i
laureati del Sud, gli stessi che già il
rapporto Svimez 2009 sulla fuga dei cervelli aveva fotografato come i principali protagonisti degli esodi post-laurea. Non trovando nel Mezzogiorno abbastanza prospettive per costruirsi un futuro, o per vedere soddisfatte le proprie aspettative di vita, infatti, decidono poi di lasciare la terra d’origine.
“Servono interventi strutturali di modernizzazione dei territori per rendere l’area attraente non solo per i talenti italiani e stranieri, ma anche per investimenti e capitali” ha proposto invece Novacco, sottolineando che altrimenti per un giovane meridionale la
laurea sarà utile solo ad
emigrare “in particolare per coloro che, non provenendo da famiglie agiate non possono godere di quel sistema di relazioni informali che rappresenta ancora nel Sud uno dei principali canali di accesso al mercato del lavoro” ha aggiunto.