Chi è affetto da aterosclerosi non rischia solo l’ictus, ma anche problemi alla memoria. Ad annunciarlo è l’American Academy of Neurology, che anticipa gli esiti di uno studio che proprio in questi giorni verrà presentato durante un convegno annuale in programma a Filadelfia. Un risultato molto importante, che sottolinea – spiega Brajesh Kumar Lal, esperto della School of Medicine dell’Università del Maryland di Baltimora – “l’importanza di accertare lo stato della memoria e del ragionamento nelle persone con un restringimento della carotide“.
Fino ad oggi la diagnosi e il trattamento dell’ostruzione delle carotidi – i due grossi vasi sanguigni che si trovano ai lati del collo – ha avuto come obiettivo principale la prevenzione dell’ictus, “in quanto – continua a spiegare Lal – era l’unico pericolo che si pensava fosse indotto nel paziente da questa ostruzione”. Invece, questo nuovo studio ha aperto gli occhi su un altro rischio incontro al quale si può andare ammalandosi di aterosclerosi, che altro non è che l’indurimento delle pareti arteriose: il pericolo di un’alterazione della memoria.
A tal risultato si è giunti, sottoponendo a test specifici le capacità di apprendimento e la memoria di 67 pazienti affetti da stenosi carotidea asintomatica. Questa consiste in un restringimento del diametro interno dell’arteria che porta il sangue alla testa (nei soggetti presi in esame l’ampiezza della carotide era ridotta del 50 per cento) a causa dalla presenza di placche aterosclerotiche, ossia di ispessimenti dovuti all’accumulo di grasso oppure a una proliferazione del tessuto connettivo.
Fatto ciò, la condizione di queste persone è stata confrontata con quella di altri 60 individui con fattori di rischio cardiovascolare – come diabete, pressione alta, ipercolesterolemia e malattie coronariche – ma non affetti da stenosi carotidea. Risultato finale dello studio: la presenza di aterosclerosi altera la memoria di chi ne è affetto, riducendo significativamente le performance nei test mnemonici e di ragionamento. “Se questi risultati saranno confermati in studi più ampi – annuncia lo studioso Lal – avranno implicazioni significative in termini di nuovi bersagli per i trattamenti”.