L’Anvur non smette di suscitare polemiche. Dopo le critiche del Ministro dell’Economia Giulio Tremonti, il quale avrebbe espresso perplessità sulla rosa dei nomi, spiegando che “troppi di loro sono legati alla sinistra”, il consiglio direttivo è oggetto di contestazioni stavolta per le posizioni di intellettuali e studiosi appartenenti alle discipline umanistiche.
Fuori la storia, la lingua italiana, ma soprattutto fuori il Sud. Queste le principali accuse mosse all’organismo che dovrà guidare l’Anvur (l’agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca), nominato dal Consiglio dei ministri, in cui sono stati esclusi gli studiosi delle scienze umanistiche, oltre all’intero Mezzogiorno, non contemplando nessun rappresentante delle facoltà più a Sud di Roma.
Le polemiche partono innanzitutto dalla constatazione che l’Anvur riveste un ruolo del tutto strategico per il sistema universitario, consentirà infatti di far partire il sistema di valutazione degli atenei cui è collegata l’assegnazione dei fondi sulla base di criteri meritocratici, quindi una quota del Ffo (fondo di finanziamento ordinario).
Escludendo pertanto alcune categorie, i timori si concentrano sulla prevedibilità che una maggioranza di risorse verranno erogate per discipline scientifiche in campo biomedico piuttosto che ingegneristico, a scapito delle scienze umane, oltre a privilegiare le università del Nord e del Centro Italia.
Si tratta di una sproporzione evidente secondo Salvatore Settis, membro del comitato che aveva proposto un pool di quindici candidati al ministro Gelmini, che ha richiesto in una missiva un “rimedio tempestivo per lo squilibrio”. Settis ha chiarito che proprio lui aveva il compito di individuare i candidati per rappresentare le discipline umanistiche nell’organismo dirigente dell’Anvur, e che nella rose dei 15 candidati di altro profilo sia esperti di queste discipline sia provenienti da atenei del Sud erano stati individuati.
La stessa dose di disappunto è era già stata manifestate a poche ore dal via alle nomine da Enrico Decleva, storico dell’età contemporanea e presidente della Conferenza dei rettori, che si è detto “colpito” dalle lacune, ma “fiducioso del fatto che il governo provveda ad ampliare il consiglio direttivo”.