Sono quelli del 14 dicembre 2010, ma non gli piace essere associati soltanto alla data della forte contestazione contro la riforma dell’università. Perché, spiegano, la loro mobilitazione è nata ben prima di allora, ha seguito passo passo anche la fase post-approvazione della legge 240 e prosegue ancora oggi. Tanto che in piena estate le varie sigle degli studenti medi e universitari si sono riunite per concordare una strategia comune e “ridare forza alla partecipazione studentesca”. E hanno fissato una nuova data, quella di venerdì 7 ottobre, per tornare in piazza a far sentire la loro voce contro la “democrazia svuotata di senso” che regge – e stiamo vedendo a quale prezzo – le sorti del Paese.
La voglia di protagonismo e il disappunto nei confronti delle politiche del governo in materia di giovani e università sono efficacemente riassunti nello slogan della manifestazione che aprirà l’autunno delle proteste: “Ora i conti li fate con noi!”. Una serie di cortei colorati attraverserà le città italiane per ricordare al ministro Gelmini, spiega il coordinatore dell’Unione degli studenti Mariano Di Palma, che gli studenti mobilitati contro la sua riforma non le daranno “un minuto di tregua”.
Riuniti su invito di Link-Coordinamento universitario nel Riot Village a Ostuni (Lecce), per il sesto anno di campeggio “tematico” terminato lo scorso 5 agosto, i movimenti studenteschi hanno focalizzato l’attenzione su quelli che a loro avviso sono i problemi più drammatici che si aprono in ambito universitario e più in generale scolastico in questa fase di cambiamento degli statuti negli atenei e di messa a punto dei regolamenti e decreti attuativi della riforma.
Primo fra tutti è stato analizzato il tema del diritto allo studio, con i tagli alle borse di studio, che limita l’accesso all’università ai meno abbienti, e la richiesta mossa tra gli altri dalla Conferenza dei rettori di abolire la quota massima di contribuzione studentesca rispetto al Fondo di finanziamento ordinario.
“Già di per sé la crisi economica sta facendo sentire i suoi effetti, con molti studenti provenienti dalle fasce più povere costretti a rinunciare agli studi” spiegano dal link Coordinamento universitario. Poi le tasse sono aumentate del 38 per cento in cinque anni e il limite massimo di contribuzione a carico degli studenti è nella stragrande maggioranza dei casi superato, aggiungiamo.
In questo quadro è comprensibile il timore che a farne le spese siano i soggetti meno tutelati. Il fatto che decidano di tornare in piazza fa ben sperare sulla loro voglia di mettersi in gioco. L’auspicio è che la politica sappia ascoltare e interpretare le loro esigenze. Quando i giovani rivendicano protagonismo, non dargliene equivale a sbattere la porta in faccia al cambiamento.