Niente numero chiuso e prove d’accesso, ma test con sbarramento alla fine del primo anno: è il modello francese, per ora, l’unico indicato dal ministro dell’Università Stefania Giannini come alternativa possibile per la facoltà di Medicina. Ma come funziona? E le nostre università sono pronte?
Quello francese è un modello da molti ritenuto più equo, e recentemente additato dal ministro Giannini come alternativa possibile all’attuale accesso programmato in Italia, in grado di bilanciare il numero di neo dottori e il fabbisogno di medici. Ma come funziona? In Francia l‘iscrizione a Medicina è libera. Niente numero chiuso, quindi, ma test di sbarramento – anonimi a risposta multipla e correzione con lettore magnetico – al termine del primo anno di corsi.
Una prova basata sulla preparazione comune, senza quesiti di cultura generale. Formulata perché l’unica cosa che conti sia aver studiato con profitto le materie del primo anno, senza bonus maturità e senza che la formazione delle scuole superiori infici i risultati. L’esame si può ripetere soltanto una volta, e se il punteggio non sarà sufficiente per proseguire il proprio cammino a Medicina, la facoltà stessa provvede a indicare allo studente quale percorso risulti più idoneo in base ai suoi risultati, così da mantenere i crediti formativi e non perdere l’anno.
Ma l’adozione del modello francese non cambierebbe solo le modalità del test. Più iscritti significa più frequentanti. E quindi più aule e più docenti. Un esempio? Alla Sapienza di Roma sono 6 le aule grandi di Medicina, e 36 più piccole. I docenti? 72. Considerando il rapporto tra i posti a disposizione e le aspiranti matricole, ha spiegato a La Repubblica il preside di facoltà Eugenio Gaudio, il passaggio al sistema d’oltralpe richiederebbe 36 aule grandi, 216 piccole e 432 professori. Possibile? “Se il governo ha soldi da investire in questo progetto ne saremmo tutti contenti, ma dubito che potrà essere così”. Piuttosto critico anche il presidente della Federazione degli ordini dei medici, Amedeo Bianco: “Le nostre università sono pronte? Non credo”. La strada verso il cambiamento sembra abbastanza irta di ostacoli.
potreste fare non solo test conoscitivi, ma test non solo di memoria (si allena) ma anche psicoattitudinali e psicologici oltre che cognitivo-comportamentali (tipo militare) idoneità fisica al ruolo per ovviare agli abbandoni (infatti + si è in aula – si viene seguiti e quindi lasciando la formazione “a sè” completamente provocando quindi uno studio atto al mero superamento dell’esame (randomico, spesso con metodiche completamente discrezionali e non oggettive, parziali, soggetto ad alterazioni amicali…).
Tests stile usmle con casi clinici ed interpretazione ed analisi vanno bene.
Corsi meno iperspecialistici su alcuni punti, dosando le informazioni con test passo passo essendo la mole di lavoro molto maggiore rispetto ad anni fa (rischiando di tralasciare le basi per le novità). Un po’ di storia e corsi specifici teorico pratici.
No gare, formazione. I concorsi e selezioni vanno fatti prima e dopo non durante, in quanto c’è un investimento sia orientativo e formativo (ergo se uno ci mette un po’ di piu’ perché vuole sapere bene le cose non va punito, comprese le sovratasse… !) Se poi lo faccio in tempo record, ok. Non tutti però ci riescono e cos’è li eliminiamo fisicamente? Eppure riescono se ci date tempo e spazi.
Segui il corso => esame => …. oblio
Segui il corso =)> Studi )> Studi )> ripassi )> esame … Meno oblio
Andrebbe ripensato il modello formativo in molti campi e aree.