La precarietà per loro è talmente scontata che sarebbero disposti a rinunciare anche ad alcuni diritti pur di trovare e riuscire a tenersi un lavoro. Per i giovani italiani nati negli anni ’90 l’instabilità occupazionale è qualcosa alla quale bisogna rassegnarsi. Cercando di arrangiarsi e fare di necessità virtù. A evidenziare quanto i cambiamenti nel mondo del lavoro abbiano influenzato i Millennials è uno studio realizzato dall’Iref, ente di ricerca delle Acli. Dalle interviste realizzate da Iref è nato un volume curato da Gianfranco Zucca, Il ri(s)catto del presente, edito da Rubettino.
“Obbedienza preventiva alla precarietà” per più di un terzo degli under 30
Questo atteggiamento mentale nella ricerca è definito “obbedienza preventiva alla precarietà”. Una forma mentis condivisa dal 35 per cento degli intervistati. Che vedono inevitabilmente nel proprio orizzonte l’instabilità lavorativa.
A dire il vero, se si scorporano i dati si scopre che sono soprattutto gli under 30 non laureati che vivono ancora in Italia a essere così rassegnati. Il tasso di coloro che si aspettano a priori di essere penalizzati rispetto alle generazioni che li hanno preceduti è del 38 per cento. Quelli che vivono all’estero, invece, hanno una visione altrettanto pessimistica solo nell’11,3 per cento dei casi. Un divario che racconta delle differenze esistenti tra il mercato del lavoro italiano e quello di altri paesi.
Per mantenere il lavoro si lavorerebbe nei festivi e si rinuncerebbe a ferie, malattia o parte dello stipendio
Tra i Millennials la precarietà è talmente uno spauracchio che quasi 1 su 2 sarebbe disposto a lavorare nei festivi pur di mantenere il posto di lavoro. Con il medesimo obiettivo il 16,7 per cento rinuncerebbe alle ferie, mentre il 12,4 per cento accetterebbe una decurtazione dello stipendio. E il 10,5 per cento farebbe a meno perfino dei giorni di malattia. Insomma, dovendo scegliere tra lavoro e diritti, gli under 30 preferirebbero tenersi il lavoro.
La precarietà è accettata dai giovani anche come parte ineludibile del percorso professionale. Soprattutto se serve a raggiungere il “lavoro dei sogni”. Il problema è che non si tratta più della tradizionale gavetta: per chi rimane in Italia, infatti, questo periodo di sacrifici e rinunce rischia di non finire mai, a differenza di quanto accade per gli espatriati.
Questo nonostante i compromessi ai quali i Millennials scenderebbero. Il 33,2 per cento per realizzare i propri desideri professionali lavorerebbe per un po’ anche senza stipendio. Il 34,6 per cento accetterebbe una retribuzione bassa. Il 38 per cento sarebbe disposto a lavorare nel tempo libero e il 41,9 per cento lo farebbe anche da casa, mentre il 43 per cento aumenterebbe le ore di lavoro. Come dire che, in un contesto nel quale trovare un’occupazione è quasi come vincere la lotteria, sull’altare del lavoro si è pronti a sacrificare (quasi) tutto.